Lunedì 29 Aprile 2024

In cella per errore, nessun risarcimento

Ogni anno su 7mila richieste solo una minima parte viene accolta. Gli indennizzi solo per mille detenuti. E così un articolo del codice di procedura penale finisce sotto accusa

Raffaele Sollecito

Raffaele Sollecito

Roma, 7 marzo 2017 - UN ESERCITO tradito dalla giustizia. Sono circa 6mila all’anno le persone assolte in Italia che non ricevono l’indennizzo dopo aver subito una custodia cautelare ingiusta (in carcere o ai domiciliari). Tra loro c’è Raffaele Sollecito, accusato e detenuto quattro anni per il delitto di Meredith Kercher, poi assolto in Cassazione. L’anno scorso sono state 1.001 le ordinanze di pagamenti per riparazioni a ingiuste detenzioni ed errori giudiziari, pari a 42.082.096 euro.   DUNQUE, uno su sette riceve l’indennizzo, stabilito da un tariffario governativo: 250 euro per ogni giorno in carcere, 125 euro per i domiciliari, con un massimo di 516mila euro (mentre per gli errori giudiziari non c’è limite al risarcimento). «Ma l’entità dell’indennizzo dev’essere proporzionata alle conseguenze personali e familiari dell’imputato – spiega l’avvocato Gabriele Magno, presidente dell’Associazione nazionale vittime di errori giudiziari –: non può bastare un quantum al giorno perché ci sono, per esempio, danni come la perdita di guadagni dal fallimento dell’azienda di un imprenditore incarcerato».   I GIUDICI d’appello di Firenze nel caso Mez, sopraggiungendo l’assoluzione di Sollecito, hanno ammesso la sua ingiusta detenzione «ma lui ha concorso a causarla con la propria condotta dolosa o colposa». Comma uno dell’articolo 314 del codice di procedura penale: se un imputato provoca la propria ingiusta detenzione, non ha diritto all’indennizzo. «È un paracadute dello Stato, che lo usa a piacimento – prosegue il 41enne Magno –. A livello costituzionale così appare più importante l’essersi, per esempio, avvalso della facoltà di non rispondere durante un interrogatorio nelle indagini, che l’essere stato assolto con formula piena. Abbiamo proposto una modifica alla legge chiedendo di cambiare l’articolo 315. Ora il soggetto assolto ha due anni per chiedere l’indennizzo, ma è un trucco: questo fa prescrivere l’errore del giudice. Un limite che va cancellato». Il giurista Giuseppe Di Federico, ex membro laico del Csm, aggiunge: «È ridicolo che si allunghi la prescrizione per le attività commesse dai cittadini e si tengano strette quelle dei giudici. Quando uno ha subito un’ingiusta detenzione l’indennizzo deve essere automatico. Rovistare nei comportamenti degli imputati per non dargli i soldi non è giusto, le loro condotte non possono giustificare la mancanza di capacità professionale nei magistrati». I distretti in cui vengono rimborsati gli indennizzi maggiori per gli errori dei magistrati sono al Sud e Centro Italia: Napoli, Catanzaro, Bari, Catania, Roma le maglie nere. Eurispes e Unione delle Camere penali italiane, analizzando sentenze e scarcerazioni degli ultimi 50 anni, hanno rilevato che sono 4 milioni gli italiani dichiarati colpevoli, arrestati e rilasciati dopo tempi più o meno lunghi, perché innocenti. «Un fenomeno patologico, ma non c’è solo un colpevole: si va dalla polizia giudiziaria che crede in una pista e non batte le altre, al pm che perseguita gli indagati, fino agli avvocati che non fanno il proprio dovere. La giustizia è una bilancia, ma questi numeri gridano vendetta», analizza l’avvocato chietino. Proprio gli avvocati, però, vengono accusati di fare super guadagni con questi casi: «Nessun business, la nostra associazione è composta anche da giudici, periti, giornalisti e politici».

DAL 1992 il ministero dell’Economia e Finanze ha pagato 630 milioni di euro per indennizzare quasi 25mila vittime di ingiusta detenzione, ma negli ultimi anni i risarcimenti sono calati: se nel 2015 lo Stato ha versato 37 milioni di euro, nel 2011 sono stati 47, mentre nel 2004 furono 56. «Se lo Stato deve indennizzare un’ingiusta detenzione prova imbarazzo – conclude Magno – e i soldi per i risarcimenti si trovano a fatica. Il fatto che sia la Corte d’appello dello stesso distretto che ha sbagliato il giudizio ad accogliere o rigettare l’indennizzo, limita la disponibilità del magistrato a riconoscere un errore».

(1- continua)