Venerdì 26 Aprile 2024

Edith Bruck e l’orrore dei lager "Il perdono rende immortali Ma non si perdona l’Olocausto"

Oggi in tutto il mondo si ricorda la tragedia della Shoah, di cui la scrittrice è una superstite "Segre teme che sarà dimenticata? Io non credo. Tanti ragazzi mi scrivono e vogliono sapere"

Edith Bruck

Edith Bruck

di Gian Aldo

Traversi

Intellettivamente fervida come Edith Stein, sferzante al pari di Hannah Arendt, incline al perdono nella scia di Anne Frank ed Etty Hillesum, per Nelo Risi, il marito regista piegato dall’Alzheimer, una "giudea dall’aspetto ariano, avvenente quanto una Garbo".

"Forse è quello che ha contribuito a salvarmi dall’inferno di Hitler" –, ammette Edith Bruck, scrittrice e testimone della Shoah, una voce che riapre i volumi di storia spandendo una luce intensa sul Giorno della Memoria.

Signora Bruck, pur in un mondo in cui di amore non ce n’è molto, lei continua ad esserne inspiegabilmente ricca. Ce ne sveli il segreto.

"La trama parte dai lager in cui venni deportata 14enne da Tiszabercel, in Ungheria. In Italia dal 1954, da sessant’anni ritesso il racconto – sui libri e nelle scuole – degli orrori del nazismo e dell’oggi che attraversa. È quello che mi fortifica".

Perché scelse di stabilirsi a Roma per raccontare l’inferno architettato da Hitler?

"Per averne colto l’eternità di capitale di un Paese che ha radicate tradizioni di ebraismo e di inclusività, l’humus giusto per discettarne".

La senatrice Liliana Segre ammettendo di non aver mai perdonato, prevede che l’Olocausto verrà confinato nelle pieghe della storia.

"Ognuno è libero di pensarla come crede. Perdonare è vivere senza odio, ci rende immortali. Perdonare l’Olocausto è però una cosa diversa, un ebreo può perdonare per se stesso non per gli annientati. Ma non credo che tutto sarà dimenticato. Incontri, parrocchie che chiamano, le comunità, i movimenti, le diocesi, e poi le università, le scuole, i ragazzi che mi scrivono...".

Quando ha cominciato a scrivere?

"Nel ’46, per me era indispensabile, anche se il mondo non voleva confrontarsi con quello che ha fatto. La lingua italiana che ho imparato mi dà la totale libertà ritmica, quasi scrive da sola".

A proposito delle cinque luci che l’hanno salvata.

"La prima s’accese ad Auschwitz dopo che un soldato mi divise da mia madre picchiandomi per farmi andare a destra, la fila degli schiavi, un’ombra di pietà verso questa ragazzina di 13 anni. La seconda fu quella di Dachau, quando un cuoco mi chiese come mi chiamassi. Poi mi diede un pettine che estrasse da un taschino. La terza brillò a Landsberg, sottocampo di Dachau, dove uno mi sbattè addosso una gavetta con tre centimetri di marmellata. La quarta fu quando qualcuno mi lanciò addosso un guanto bucato. La quinta durante la marcia della morte verso Bergen Belsen, quando un soldato spinto a terra da mia sorella Adele mi venne incontro dandomi della lurida cagna ebrea, aggiungendo che meritavamo di sopravvivere perché avevamo osato colpire un ’tedesco’".

Il titolo dell’ultimo libro Sono Francesco rimarca la sua commossa vicinanza col Pontefice.

"L’ho titolato per come s’era annunciato l’ultima volta che mi ha chiamato per salutarmi. Bergoglio mi ha ricolmato di fede tutte le volte che è venuto a farmi visita con quell’enorme sagoma bianca come uno zucchero filato".

Arendt ricorda che sono stati gli italiani, eredi della "pietas" latina e i norvegesi per la cultura sociale ad aiutare più degli altri gli ebrei d’Europa.

"È la storia a tramandarlo. Polacchi e ungheresi i peggiori".

ll mondo è in ansia per la Russia che fa strame dell’Ucraina. Come se ne esce?

"Pregando l’Altissimo, che sia Jahvé o Dio o Maometto, perché ci convinca che i sentieri di pace sono gli unici percorribili".