Mercoledì 24 Aprile 2024

Draghi e il Recovery: ci giochiamo tutto "No a particolarismi, stupidità e corruzione"

Il premier alla Camera avverte i partiti: non possiamo permetterci ritardi e inefficienze, da questo piano dipende il destino dell’Italia

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di Antonella Coppari

Gioca il tutto per tutto. Per rimettere in piedi il Paese utilizzerà ogni euro disponibile, sia a fondo perduto sia a prestito: 248 miliardi di euro, quanto nessun altro Stato ha osato fare. Il Piano nazionale di ripresa e resilienza è il "whatever it takes" tricolore di Mario Draghi. Costi quel che costi, si è impegnato con l’Europa a portare a casa un risultato senza precedenti. La sua scommessa è quella di ognuno di noi. Lo dice a Montecitorio: "Nell’insieme dei programmi che presento c’è anche e soprattutto il destino del Paese". Ma è pure la sveglia ai partiti della sua maggioranza: non è più il momento di scherzare, "ritardi, inefficienze, miopi visioni di parte peseranno direttamente sulle nostre vite. Soprattutto, su quelle dei cittadini più deboli, dei nostri figli e nipoti. E forse non vi sarà più tempo per porvi rimedio". Chiosa: "Sono certo che l’onestà, il gusto del futuro prevarranno su corruzione, stupidità, interessi costituiti". Per sottolineare l’importanza dell’ora, il premier cita il 25 aprile e uno scritto del 1943 del padre della patria Alcide De Gasperi, amato da Mattarella: "L’opera di rinnovamento fallirà se non sorgeranno uomini pronti a sacrificarsi per il bene comune".

L’allusione non è alle divisioni di questi giorni sull’allungamento del coprifuoco. Quello è il teatro in cui recitano sia Salvini sia la coppia Letta-Conte che oramai si muove in tandem. Già, non è la minaccia contro la quale mette in guardia il premier, perché la portata della sfida vera è tale da costringere tutti a ingoiare qualche boccone amaro. La Commissione europea probabilmente avrebbe preferito che l’Italia si muovesse con maggiore gradualità, senza chiamare l’all-in: questo è stato uno dei temi al centro della lunghissima serie di telefonate tra Draghi e i vertici Ue sabato. Il presidente del Consiglio ha impegnato il Paese con se stesso come garanzia facendo del piano un programma che vincolerà qualsiasi governo di qui al 2026. Un percorso obbligato, sul quale Bruxelles vigilerà frequentemente e con rigore. Significa, per esempio, che la riforma delle pensioni non sarà di sicuro quello auspicata dal Carroccio. O che le future norme sulla concorrenza piaceranno poco per motivi diversi al centrosinistra e ai grillini che già vogliono garanzie più stringenti sulla proroga al 2023 del bonus edilizio.

Il Parlamento si esprimerà oggi con un voto, e tra mercoledì e giovedì ci sarà l’approvazione finale in Cdm; i malumori si concentrano per ora soprattutto sul metodo perché – benché a dirlo apertamente è solo l’opposizione sia di destra che di sinistra – un po’ tutti nella maggioranza non hanno apprezzato il mancato coinvolgimento delle camere nella stesura definitiva del piano. Di questo nella risoluzione non ci sarà traccia, anche se probabilmente non ci sarà neppure un riconoscimento ipocrita della parte marginale lasciata giocare alle camere per cui si chiederà un ruolo di controllo. In fondo, pure questo è repertorio. A gestire il piano resteranno essenzialmente il capo del governo e i ministri tecnici da lui scelti. Gli ostacoli, se si creeranno, non saranno formali ma concreti. E riguarderanno soprattutto il merito delle riforme dalle quali dipenderà in buon misura il futuro del Paese.