Giovedì 25 Aprile 2024

Dove c’è maggioritario non c’è storia

Guido

Bandera

Acqua e olio. Come in fisica così in politica. Maggioritario e centro sono elementi che si respingono. Dove c’è uno, non c’è l’altro. Bastano collegi uninominali, un minimo premio di coalizione, un poco di sbilanciamento a favore dell’esecutivo, e la Balena Bianca – rimpianta dagli orfani Dc, vagheggiata da tutti i fuoriusciti dagli schieramenti negli ultimi trent’anni – sfuma nel mito e torna mera letteratura. Solo il proporzionale, elettorale e istituzionale, crea l’habitat adatto all’aggregazione di movimenti personali in un grande raggruppamento di correnti. Capace di controllare il governo, alleandosi ora a destra, ora a sinistra, escludendo le estreme. Serve un sistema elettorale come quello di prima del 1993, meglio se con preferenze multiple. Serve (noi già ce l’abbiamo) una Costituzione che non elegga il premier e non gli dia una maggioranza preconfezionata, ma che lasci alle trattative post voto, ai partiti, il diritto di negoziare, equilibrare, realizzare un accordo, fugace e fragile, per il governo. E, naturalmente, la stabilità di un sistema simile sarebbe quella del più puro stile italico: 12 mesi di vita media di un gabinetto. Dovunque sia esistito un centro è stato così. In Francia, prima di De Gaulle e del presidenzialismo della quinta repubblica, c’era il Movimento repubblicano popolare. Ispirazione cristiana ed europeista. Per anni precario e decisivo baluardo contro l’avanzata social-comunista. Fu reso inoffensivo dalla svolta maggioritaria. Tragico ed emblematico il destino del Zentrum, la grande Dc della Repubblica di Weimar, la travagliata Germania fra le due guerre. Il predominio del partito cattolico, condannato a governare sotto gli attacchi concentrici di nazismo e stalinismo, figlio del proporzionale puro, finì con Hitler. La democrazia tornò col cancellierato. E i partiti rinacquero diversi. Lezione: senza proporzionale puro, il centro è solo chimera.