
Le proteste nel 2006 per il muro antispaccio eretto a Padova (Ansa)
Roma, 19 aprile 2016 - Il pacchetto sicurezza del 2008 scatenò la "produttività legislativa" dei sindaci – ovviamente, a colpi di ordinanze – che si ritrovarono, da un giorno all’altro, 'sceriffi'. Durò pochissimo, tre anni all’incirca, perché la Corte Costituzionale con una sentenza del 2011 ci mise una pietra sopra. Ma nel frattempo l’estro legislativo, bipartisan tra l’altro, si era già espresso. Qualche dato, solo per rendersi conto, della portata: in un anno esatto la legge 125, quella del pacchetto Sicurezza, spinse i sindaci a firmare 600 ordinanze comunali. Il primato delle ordinanze era al Nord (il 66,7%).
In principio fu Flavio Zanonato che poi qualche anno dopo sarebbe diventato ministro nel governo di Enrico Letta, quello dello "stai sereno". Ma Zanonato alla guida di un Comune, non semplice, come Padova non era affatto sereno. E nel 2006, in via Anelli, fece costruire un muro. Il muro anti spaccio. Ma i paragoni con quello 'vero' di Berlino che aveva cessato di esistere, frantumato dalla storia, 17 anni prima, si sprecarono. Arrivarono perfino inviati dall’estero per capire che cosa stava succedendo nella città del Caffè Pedrocchi. Zanonato, qualche anno dopo, ci riprovò con un’altra ordinanza antispaccio e più in generale antidroga: multe di 500 euro a chi veniva pizzicato a consumare sostanze stupefacenti e sconto fino a 50 euro, se il 'reprobo' decideva di andare di "sua sponte" al Sert per disintossicarsi.
Poi venne il kebab. A Lucca, nel 2009, la giunta a maggioranza Pdl proibì espressamente l’apertura di locali, bar e ristoranti che vendessero cibo etnico. Tornando al Nord, nella fattispecie a Cittadella (una manciata di chilometri da Padova), il sindaco decise che assieme ai sexy shop, circoli privati per poker e slot machine, fossero allontanate dal centro tutte le attività che servivano kebab. Inutile dire che quasi tutte le ordinanze, dopo la scure della Corte Costituzionale, ebbero vita brevissima e in molti casi si rivelarono dei veri e propri flop, se non proprio buchi nell’acqua. Perché le decisioni dei sindaci, basta un ricorso davanti alla giustizia amministrativa (tra Tar e Consiglio di Stato ci sono centinaia di sentenze) che le blocca, nel giro di poco tempo diventano poi inefficaci. Con gli stessi sindaci che continuano a reclamare poteri veri per raddrizzare le loro città e non solo dichiarazioni d’intenti.
Anche Massimo Cacciari non si sottrasse a un’ordinanza che fece assai discutere. Nel suo caso a bloccarla ci pensò il Tar. Era il 2008 e l’allora sindaco di Venezia vietò di camminare per le vie del centro storico con borsoni. Fu immediatamente ribattezzata l’ordinanza «antiborsoni».
L'obiettivo era colpire i venditori abusivi, perlopiù stranieri, che vendevano materiale taroccato. In pochi mesi fu annullato tutto. Da Venezia a Roma. Gianni Alemanno, all’epoca sindaco della Capitale, si limitò solo all’annuncio. Ma tanto bastò per scatenare un vespaio di polemiche. Alemanno disse che era intenzionato a firmare un’ordinanza contro i capannelli di persone davanti ai cassonetti. L’obiettivo: era la lotta all’accattonaggio. C’è una variegata serie di ordinanze per la lotta alla prostituzione: nel Cremasco, a Spino d’Adda, lo scorso agosto il sindaco di una lista civica vicina al centrodestra, ordinò che le prostitute in strada indossassero giubbotti catarinfrangenti per scongiurare che rimanessero in strada. E poi c’è tutto il campionario di ordinanze per il decoro che mettono nel mirino i writers o soltanto gli imbrattatori di muri. Anche in questi casi i risultati non sono stati esaltanti.
Ora tra un mese quando il decreto legge sulla sicurezza urbana sarà presentato, si capirà se realmente i sindaci avranno quei poteri per la sicurezza che in molti auspicano da anni. Soprattutto nel campo della microcriminalità e in particolare dei furti. Ma basterà?