Giovedì 18 Aprile 2024

Chiese deserte Non è solo colpa della pandemia

Lucetta

Scaraffia

Papa Francesco lo ha ricordato un po’ accorato: la messa domenicale è il cuore della vita cristiana, saltarla non fa bene all’anima. Per questo la crescente disaffezione dei fedeli alla frequenza domenicale costituisce un segnale grave, forse un primo passo verso l’allontanamento definitivo.

È proprio vero: il “digiuno eucaristico” dovuto al Covid ha distolto dalla frequenza molti praticanti, magari con la giustificazione di una residua paura del contagio, che invece sfidano in un ristorante o in un negozio senza alcun timore. Si è persa l’abitudine, e questo conferma che per molti la messa era diventata più che altro un’abitudine, alla quale si può rinunciare.

A questa sottovalutazione della liturgia ha contribuito anche – bisogna riconoscerlo – l’immediata adesione delle gerarchie ecclesiastiche alla richiesta di sospendere i riti pubblici, senza neppure il tentativo di proporre altre strade per consentire almeno la partecipazione a qualche celebrazione. Come se i vescovi non credessero che le liturgie potessero essere di aiuto in quel momento di paura e di sgomento, come se anch’essi pensassero che questa dimensione della vita cristiana non avesse più diritti davanti al virus.

Certo la diminuzione dei frequentanti è notevole, e non sembra fermarsi neppure dopo le vaccinazioni, anche perché non ha fatto che affrettare un processo in corso già da molti anni. A messa si vedono ormai da tempo solo anziani o bambini, irreggimentati nei ranghi dei lupetti o del catechismo, ma che poi appena cresciuti abbandonano la chiesa.

La colpa non è solo della secolarizzazione che avanza, ma anche di liturgie trasandate, di sacerdoti che celebrano senza metterci il cuore, e soprattutto di omelie lunghe, noiose, francamente insopportabili. Oltre che rivolgersi ai fedeli, Papa Francesco dovrebbe parlare – in misura maggiore di quanto fa – ai preti, che non sanno più risvegliare gli animi.