Martedì 16 Aprile 2024

Pausa caffè, Cassazione: se il lavoratore va al bar e si fa male niente indennizzi

Il caso della donna caduta andando al bar in orario di lavoro. Per gli ermellini la 'tazzina' non è una esigenza impellente ma una libera scelta

Foto generica di una pausa caffè

Foto generica di una pausa caffè

Roma, 9 novembre 2021 - Per chi è solito concedersi una pausa caffè nell'orario di lavoro, ora sarà necessario prestare più attenzione. Non è previsto, infatti, nè l'indennizzo per malattia né al riconoscimento di invalidità per il lavoratore che, sfortunatamente, dovesse avere un incidente mentre va al bar a prendersi un thè o un caffè. Lo ha stabilito la Cassazione, che ha accolto il ricorso dell'Inail contro l'indennizzo e invalidità del 10% per una donna, impiegata alla Procura di Firenze, che era uscita - autorizzata - per andare a prendere un caffè al bar e nel tragitto era caduta procurandosi un trauma al polso. Per gli ermellini, infatti, la 'tazzina' non è una esigenza impellente e legata al lavoro ma una libera scelta.

Scendendo nel dettaglio della sentenza, in base a quanto scrivono i supremi giudici non ha diritto alla tutela assicurativa dell'Inail chi affronta un rischio "scaturito da una scelta arbitraria" e "mosso da impulsi, e per soddisfare esigenze personali, crei e affronti volutamente una situazione diversa da quella inerente l'attività lavorativa", pur intesa in senso 'ampio', "con ciò ponendo in essere una causa interruttiva di ogni nesso fra lavoro, rischio ed evento" di infortunio. Pertanto, prosegue il verdetto della Cassazione, "è da escludere la indennizzabilità" dell'incidente "subito dalla lavoratrice durante la pausa al di fuori dell'ufficio giudiziario ove prestava la propria attività e lungo il percorso seguito per andare al bar a prendere un caffè, dato che allontanandosi dall'ufficio per raggiungere un vicino pubblico esercizio, si è volontariamente esposta ad un rischio non necessariamente connesso all'attività lavorativa per il soddisfacimento di un bisogno certamente procrastinabile e non impellente". 

E tornado al caso della donna, l'impiegata di questa vicenda finita in Cassazione in questo modo, Rosanna B. con la scelta di andare al bar per la pausa caffè "ha interrotto la necessaria connessione causale tra attività lavorativa ed incidente". Ed è del tutto "irrilevante", prosegue il verdetto della Sezione lavoro dell'Alta Corte, "la circostanza della tolleranza espressa dal soggetto datore di lavoro in ordine a tali consuetudini dei dipendenti, non potendo una mera prassi o comunque una qualsiasi forma di accordo tra le parti del rapporto di lavoro, allargare l'area oggettiva di operatività della nozione di occasione di lavoro".

Dunque il permesso del capo non garantisce assolutamente che la pausa caffè sia connessa a motivi di servizio. "Quando l'infortunio si verifica al di fuori, dal punto di vista spazio-temporale, della materiale attività di lavoro e delle vere e proprie prestazioni lavorative (si verifica cioè anteriormente o successivamente a queste, o durante una 'pausa'), la ravvisabilità dell'occasione di lavoro - spiega la Cassazione - è rigorosamente condizionata alla esistenza di circostanze che non ne facciano venire meno la riconducibilità eziologica al lavoro e viceversa la facciano rientrare nell' ambito dell' attività lavorativa", o di tutto ciò "che ad essa è connesso o accessorio in virtù di un collegamento non del tutto marginale".

Rosanna che aveva vinto in primo e secondo grado davanti a Tribunale e Corte di Appello di Firenze e ottenuto dall'Inail l'indennità di malattia assoluta temporanea e l'indennizzo per danno permanente del 10% in relazione alla caduta per strada avvenuta una mattina di luglio del 2010. Ora - a 11 anni dai fatti e dopo aver atteso dal 2015 la fissazione dell'udienza in Cassazione per la valutazione della sentenza di secondo grado emessa nel 2014 - ha perso il diritto agli indennizzi ed è stata condannata a pagare 5300 euro di spese legali e di giustizia