Giovedì 25 Aprile 2024

Caino e Abele si riscoprono fratelli

Roberto

Pazzi

u mi hai ucciso o io ho ucciso te? Non ricordo più; stiamo qui insieme

come prima". Borges fa pronunciare queste parole a Caino, quando ritrova, dopo la morte, Abele, col segno della pietra sulla fronte. Questa pagina di Borges mi è venuta in mente, apprendendo che la Russia e l’Ucraina si uniscono nello sforzo di inviare aiuti al martoriato popolo della Turchia,

vittima di uno dei terremoti più disastrosi della Storia. Uguale ritrovata fraternità umana nello stesso gesto di Israele, che abbraccia con i suoi aiuti

il secolare nemico, la Siria, l’altra vittima dello spaventoso terremoto.

Soltanto la verità della nostra condizione mortale è capace di far deporre l’odio e riscoprire quella che Leopardi ne La Ginestra chiamava la "social catena". Il Vesuvio ammonisce con la testimonianza della fine

tragica di Pompei, quanto alla Natura basti appena un lieve

sommovimento, uno sfogo della sua forza anche di piccola durata, per annichilire la vita di migliaia e migliaia di esseri umani e distruggere una civiltà. Rivelando quanto folle sia la superbia umana, che si crede padrona del cosmo e signora della Natura. Il mistero è che solo la verità della nostra caducità, della estrema fragilità della nostra condizione, sappia

vincere la malizia umana, che solo lo spettacolo della morte sappia farci tornare buoni.

Kant ci ricorda che soltanto il sublime è capace di illuminarci mostrandoci nelle eruzioni vulcaniche, negli uragani e nei

terremoti, spettacoli che ci riportano alla nostra infinita origine, a qualcosa di divino, di grande al di sopra di ogni comparazione, che annichilisce e libera dalle passioni. Qualcosa del genere accade per Aristotele nell’animo di chi assiste alla tragedia classica, per l’effetto catartico di purificazione dai mali che la finzione teatrale mette in scena, risparmiando allo spettatore di vivere quegli stessi mali nella quotidianità.