Mercoledì 24 Aprile 2024

Blackout game, il papà di Igor Maj: "Parlerò con tutte le scuole. Non deve più succedere"

Morto a 14 anni per un folle gioco. "Molti genitori ignorano i pericoli della Rete"

Ramon Maj con il figlio Igor

Ramon Maj con il figlio Igor

Milano, 14 settembre 2018 - «Igor, lasci un buco nero che assorbe sentimenti e lacrime. Da tanti anni il mio motto è: ‘Per conquistare il futuro bisogna prima sognarlo’. Ecco, io in questo momento non ho più sogni. Ma la vita deve andare avanti, con uno scopo: il mio sarà quello di crescere i tuoi due fratelli, che ti eri assunto il compito di proteggere, e di non far ripetere quello che è successo a te. Combatterò per questo. Lo farò per te». Parole di Ramon Maj, papà di Igor, giovane promessa dell’arrampicata morto a 14 anni con tutta probabilità per aver voluto provare il ‘blackout game’. Significa soffocarsi di proposito fino a svenire per poi (forse, in teoria) provare l’euforia del risveglio. Ma nella realtà Igor ha trovato la morte. Ieri, una folla si è radunata per l’ultimo saluto. Singhiozzi e abbracci infiniti.

Ramon, in che modo combatterà per Igor?

«Andando nelle scuole, parlando coi ragazzi, sensibilizzando loro e gli adulti. Sono rimasto allibito per il fatto che, fino a giovedì 6 (giorno della morte di Igor, ndr) io non sapessi nulla di questa pratica del blackout game. Ne ero totalmente all’oscuro. Avevo messo in guardia mio figlio dai pericoli che io conoscevo: le auto per strada, le persone poco raccomandabili, la droga, l’alcol; ma pur conoscendo i pericoli della rete non avevo idea di questo. Ho visto un video illustrativo quel giorno, controllando la cronologia sul telefono di mio figlio dopo la disgrazia: incredibile come in rete si mostri questa pratica come se fosse un gioco. Come fosse allo stesso livello di un’impennata con la bici o un movimento spericolato. No, è una pratica che porta alla morte. Bisogna far capire questo, per questo mi batterò».

Secondo lei Igor ha voluto provare per curiosità?

«Non si è reso conto del pericolo mortale. Igor certamente pensava di provare e di riprendersi per poi continuare la sua quotidianità».

Ci sono altri elementi che glielo fanno credere?

«Quel giorno ci eravamo scambiati dei messaggi a mezzogiorno. Lui mi aveva chiesto di inviargli gli orari dei treni perché il pomeriggio sarebbe dovuto andare ad Agrate Brianza per allenarsi con il fratello e la squadra, e io glieli ho inviati, ci saremmo visti lì. Dopo è successa la disgrazia. Era sereno, allegro, pieno di vita. La sera prima avevamo giocato insieme al tiro al bersaglio e poi eravamo andati in palestra dove aveva sfoggiato uno stato di forma invidiabile, era tornato rafforzato da una bellissima vacanza in Grecia, dove siamo stati per arrampicarci. Lo chiamavo il mio leoncino, perché si affacciava all’adolescenza e cominciava a sfidare il leone grande, cioè me, ma con garbo, con gentilezza, scoprendo nei miei occhi l’orgoglio di un padre che si vede superare dal figlio. E lo chiamavo pure ‘gorilla’ per il fisico possente, che scoppiava di vita» .

Ha già contattato delle scuole?

«Sono stato mercoledì nella scuola in cui Igor avrebbe dovuto iniziare il primo anno di superiori. Ho guardato i ragazzi, emozionati per il loro primo giorno. In un certo senso era come se anche il mio Igor fosse lì. Per adesso ho parlato con la dirigente di questo istituto, penso cominceremo da qui a sensibilizzare i ragazzi. Nessuno deve più provare attrazione né curiosità verso questa trappola mortale».