Lunedì 20 Maggio 2024
NICOLETTA TEMPERA
Cronaca

Ascesa e declino di Maccaferri Otto indagati per bancarotta

Sequestrati quasi 58 milioni della Sei, la società esterna al gruppo bolognese creata nel 2017. Il gip: una spa cassaforte. L’avvocato della famiglia: "Operazione legittima, chiariremo tutto".

Migration

di Nicoletta Tempera

Come un salvadanaio, quella società esterna costituita nel 2017 dai soci del Gruppo Maccaferri sarebbe servita a ‘custodire’, in caso di fallimento, i beni immobili del Gruppo, mettendoli al riparo da eventuali aggressioni di creditori. È l’accusa su cui ruota l’inchiesta condotta dalla Guardia di finanza bolognese che ha portato, ieri, al sequestro preventivo del capitale sociale e del relativo patrimonio della società in questione, la Sei Spa: quasi 58 milioni di euro. Otto gli indagati, accusati tutti di bancarotta fraudolenta per distrazione: Gaetano Maccaferri, il presidente del Cda della Seci, holding del gruppo Maccaferri, e poi Alessandro Maccaferri, vice presidente, Antonio Maccaferri, consigliere del Cda, Piero Tamburini, consigliere delegato, e infine i soci Massimo Maccaferri, Angela Boni, Gugliemo Bozzi Boni e Raffaella Boni.

Il Gruppo, leader, con le Officine Maccaferri di Zola, nel settore dell’ingegneria ambientale, e con la Samp in quello della meccanica, ha società operanti anche nell’alimentare, nell’energia, nell’edilizia e nell’immobiliaristica: nel 2017, il volume d’affari delle aziende del gruppo era pari a 1,04 miliardi. Tuttavia, proprio in questo anno si concentrerebbero le operazioni di scissione ritenute illecite dall’accusa. L’indagine, coordinata dal procuratore aggiunto Francesco Caleca e dal sostituto Nicola Scalabrini, ha preso le mosse dalle tensioni societarie che, a maggio dello scorso anno, hanno portato il Gruppo Maccaferri a presentare un’istanza di concordato.

Da qui, l’interesse della Procura a capire come un colosso come Maccaferri fosse arrivato a un punto simile. I finanzieri sono andati a ritroso nel tempo, fino al 2014. Anno in cui, a causa della crisi del settore energetico e saccarifero, il Gruppo, dopo aver contabilizzato perdite per 10 milioni, ha deciso, attraverso la controllata Officine Maccaferri, di ricorrere a un prestito obbligazionario da 200 milioni. Un bond classificato dalle agenzie di rating come ‘ad alto rischio’. Un’operazione che non aveva risolto i problemi del gruppo che, negli anni successivi, per chiudere i bilanci in positivo, aveva venduto alcune aziende. Una situazione crescente di difficoltà che, secondo l’accusa, avrebbe spinto i soci a tentare di mettere ‘in salvo’ i beni immobili, prima facendoli confluire tutti verso la holding del gruppo, la Seci, e poi, da questa, trasferendoli a una società nuova, esterna al gruppo, ma comunque riconducibile agli indagati la Sei Spa.

Per il gip Alberto Ziroldi, che ha firmato il sequestro, si tratta di un’operazione "sospetta", proprio perché legata a "indici sintomatici di default". Per l’avvocato Tommaso Guerini, che difende i fratelli Maccaferri, invece, la famiglia è "a completa disposizione dei pubblici Ministeri per chiarire, con l’ausilio dei loro consulenti, la piena legittimità dell’operazione oggetto d’indagine e l’assoluta correttezza del proprio operato".