Giovedì 25 Aprile 2024

Anche i ristoratori alle strette "Importiamo pesce low cost"

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di Achille Perego

Pescherecci fermi per protesta nei porti, dalla Riviera adriatica al Golfo di Napoli e il caro-pesce che arriva in tavola, dai banchi dei supermercati ai menù dei ristoranti. Con il rischio di non trovare il prodotto locale e una forte crescita delle importazioni. È l’effetto del caro-carburanti, acuito dal conflitto in Ucraina, che sta mettendo in ginocchio l’industria ittica. Un’industria che vale 1,5 miliardi, con quasi 250 milioni di produzione nazionale, ricorda Tonino Giardini, responsabile Pesca di Coldiretti, con 12mila imprese e 28mila addetti. Imprese che, aggiunge Giardini, con il raddoppio dei prezzi del gasolio, che incidono sui costi per il 50%, mette a rischio la sopravvivenza delle aziende e anche dei lavoratori che hanno contratti con compensi legati alla redditività dell’impresa.

La crisi del pesce, per cui i pescatori chiedono il rapido utilizzo del credito d’imposta e nuovi interventi oltre ai 20 milioni concessi alla filiera ittica, è finita anche in tavola. Come aveva rilevato qualche mese fa Eurobarometro, solo un italiano su quattro acquista pesce fresco, allevato o surgelato alla settimana, per 28 chili all’anno, sopra la media europea ma lontano dai 60 chili dei portoghesi e con consumi in calo proprio per il fattore prezzi, che a maggio sono cresciuti dell’8,6% con punte – secondo l’Istat – dell’11,5% per i molluschi di mare. E nei prossimi giorni, avverte Giorgio Santambrogio, Ceo del gruppo Végé e vice presidente Federdistribuzione, sugli scaffali degli alimentari arriverà il nuovo adeguamento dei listini chiesto dai produttori che porterà l’indice del settore da poco più del 5% ad allinearsi al quasi 7% dell’inflazione generale.

I rincari riguardano anche i ristoranti che lamentano l’aumento dei costi a monte di una filiera dove, spiega sempre Giardini, un chilo di triglie viene pagato al pescatore dai 5 ai 7 euro e poi, anche per compensare il rischio scarti per la breve durata del prodotto, vede il prezzo quadruplicare al consumatore. "Finora – avverte Luciano Sbraga, vice direttore di Fipe-Confcommercio – gli aumenti nei ristoranti sono stati contenuti in qualche punto percentuale anche perché non si possono rendere i listini flessibili in base al mercato". E più che arrivare alla decisione estrema – come sta succedendo in qualche caso – della temporanea chiusura, si sopperisce ai pesci più cari o più difficili da reperire con altri prodotti. Così si è impennato l’import da Paesi come Senegal, Guinea, Bangladesh, Cile con il rischio, avverte sempre Coldiretti, che il pangasio del Mekong venga spacciato per cernia, l’halibut per sogliola, lo squalo smeriglio per pesce spada.