Giovedì 25 Aprile 2024

Alzheimer senza cura. Gli ultimi test falliti e la ricerca a rilento ma la caccia continua

Maurizio de Cicco, presidente e ad di Roche Italia: "Andiamo avanti". Uno stuolo di scienziati in tutto il mondo impegnato a studiare i rimedi

I dati sull'Alzheimer

I dati sull'Alzheimer

Il ladro dei ricordi ha i giorni contati. Le indagini si concentrano su una impronta lasciata sul luogo del delitto, un filamento denominato microRNA. Uno stuolo di agenti in camice bianco cerca il modo di smascherare così cali di memoria e decadimento cognitivo della malattia di Alzheimer. Si parte da una goccia di sangue. La diagnosi precoce è il presupposto per fermare sul nascere il declino delle facoltà mentali che sfocia nella demenza.

L’Università di Napoli Federico II e la Sapienza, Università di Roma, hanno messo a punto un sensore in grado di misurare i livelli di miRNA-29a circolante, la spia dell’olio di quella macchina meravigliosa che è nel nostro cervello. Questo segnale, secondo varie ipotesi, avverte quando gli ingranaggi della nostra mente stanno per incepparsi, indicando come e dove riparare il guasto, prima che le lesioni siano documentabili con la Tac o la risonanza.

Alzheimer, l’ottimismo del geriatra. "Entro 5 anni avremo il farmaco"

Come aiutare decine di migliaia di anziani alle prese con problemi di disorientamento, amnesie, trascuratezza, incapaci ormai di riconoscere persino le persone care? La settimana scorsa è arrivata l’ennesima doccia fredda: "Farmaco ben tollerato, ma risultati inferiori alle attese", ha sentenziato Levy Garraway, chief medical officer di Roche, a proposito dell’ultima molecola testata, un anticorpo monoclonale (gantenerumab) che elimina i depositi di beta-amiloide, proteina che si accumula formando placche attorno ai neuroni di soggetti con malattia di Alzheimer, ma che si può trovare anche nel cervello di persone sane. "La ricerca – rassicura Maurizio de Cicco, ad Roche Italia, vicepresidente Farmindustria – andrà avanti senza battute d’arresto". In prima linea in questa battaglia sono le menti migliori messe in campo anche da Biogen, Gsk, Eli Lilly, Bristol Myers Squibb e da altri colossi. Secondo Silvio Garattini, presidente fondatore dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri di Milano, 94 anni e una visione lucidissima dello stato dell’arte, occorre fare di più: "Che cosa succede nel cervello? L’amiloidosi – afferma Garattini – è solo uno dei tanti fattori che entrano in gioco, oltre alla genetica e agli stili di vita. Bisogna individuare la combinazione giusta di farmaci, capire quando è il momento di trattare, e a che livello".

Non si è fatta attendere la voce dei familiari e dei caregiver, quelli che vivono #afiancodelcoraggio, l’hashtag che ha riunito il mondo del volontariato, giovedì scorso sotto le volte dell’antico ospedale di Santo Spirito in Sassia, Città del Vaticano, per una iniziativa corale a sostegno della ricerca in oncologia, e per estensione nelle malattie neurodegenerative, portata avanti da Gianni Letta, con l’attrice Serena Autieri e Costanza Calabrese del Tg5, a rievocare le storie più toccanti. Altre associazioni si sono ritrovate in piazza di Montecitorio per Roche Path, progetto a sostegno di una sanità a misura di paziente.

Ansia, irrequietezza e pensiero ripetitivo sono sintomi ricorrenti nell’Alzheimer. Patrizia Mecocci, ordinario di gerontologia e geriatria all’Università di Perugia e consigliere Sigot (Società italiana geriatria ospedale territorio) guarda avanti: "All’ipotesi amiloide io non ho mai creduto fino in fondo – afferma la professoressa, che si è perfezionata all’Harvard Medical School –, negli ultimi venti anni la ricerca si è fossilizzata, occorre aprire nuove strade per promuovere un invecchiamento in salute. Penso che i risultati verranno dagli screening con biomarcatori plasmatici, indagando le molecole che invecchiano, farmaci senolitici, senomorfici, cellule zombie e senescenti".

 

Da segnalare, tra i fattori in gioco, il peso della genetica nelle demenze. Una ricerca mondiale che ha visto coinvolti due docenti dell’Università di Firenze componenti di Airalzh (Associazione Italiana Ricerca Alzheimer) ha individuato 75 regioni del genoma associate alla malattia, 42 delle quali mai osservate prima d’ora. «Oltre all’accumulo nel cervello della proteina beta-amiloide e alla degenerazione della Tau, correlati all’insorgenza della malattia - afferma Sandro Sorbi, professore ordinario di neurologia a Careggi – i risultati evidenziano disfunzioni del sistema immunitario e delle microglia».

 

Mancano terapie risolutive, afferma da parte sua Lorenzo Palleschi, direttore della geriatria dell’Azienda ospedaliera San Giovanni Addolorata di Roma, ma intanto si può e si deve intervenire su fattori ambientali, e sulla qualità dell’assistenza, per alleviare la sofferenza delle persone e dare respiro ai familiari, che vivono un dramma nel dramma.