Venerdì 26 Aprile 2024

Inchiesta sul Covid, viaggio ad Alzano e Nembro: 200 agenti "ma la chiusura fu rimandata"

L’albergatore che ospitò polizia e carabinieri per tre giorni: studiarono cartine, percorsi e accessi. "Eravamo all’oscuro di tutto. Andarono via e solo dopo scoprimmo il motivo della loro presenza"

Per tre giorni 200 uomini in divisa studiano il territorio, controllano sulle cartine militari accessi e percorsi. Poi se ne vanno e con loro svanisce anche il fantasma della "zona rossa" che avrebbe dovuto blindare l’area di Alzano Lombardo e Nembro, in Val Seriana, e che dopo giorni di ipotesi, intenzioni trapelate alla stampa, viene messa in soffitta ancor prima di essere varata. Bruno Testa da 39 anni è il gestore dell’Hotel Continental. Testimone diretto di quell’imponente, inutile mobilitazione. "Erano in 200, forse 210, diciamo misti, fra carabinieri e polizia. All’epoca non si parlava di ‘zona rossa’. Abbiamo delle convezioni per cui, quando su Bergamo ci sono degli eventi, ospitiamo le forze di polizia. Penso che sia stata la questura a comunicare il loro arrivo. Da noi ne avevamo un centinaio, gli altri erano suddivisi in due alberghi della zona. Per i pasti li avevamo tutti qui, abbiamo una grande sala. Erano molto educati, bravissime persone. Uscivano a gruppi, la mattina dopo colazione, verso le nove, tornavano per il pranzo, riuscivano, rientravano per la cena".

Decine di bare in attesa di tumulazione ad Alzano nel febbraio del 2020
Decine di bare in attesa di tumulazione ad Alzano nel febbraio del 2020

Arrivano fra il 5 e il 6 marzo del 2020. Già nel pomeriggio di giovedì 5 marzo si sono visti i primi movimenti di mezzi e diverse pattuglie di carabinieri a presidiare gli svincoli. "Cosa potevo pensare – si chiede oggi Bruno Testa –? Ho pensato a un evento di ordine pubblico, come al solito, avevamo già ospitato anche 100 uomini delle forze dell’ordine impegnate per eventi. Domenica sera un funzionario ci ha informato che avrebbero lasciato l’hotel il giorno dopo. Ha ringraziato per l’ospitalità. Sono partiti lunedì dopo pranzo. Soltanto un paio di giorni dopo siamo venuti a sapere che la loro presenza era per chiudere. Ne parlavamo i nostri clienti di ristorante, bergamaschi, ne parlavano già le televisioni. Quelli che sono seguiti sono stati anni molto difficili, sia dal punto di vista affettivo sia da quello lavorativo. Ma non ho voluto licenziare nessuno del personale, perché anche loro appartengono alla storia dell’hotel". È l’8 marzo. La Lombardia e 14 province del Nord vengono dichiarate "zona rossa".

Codogno e altri nove centri del Lodigiano lo sono già dal 22 febbraio. "Il periodo 20 febbraio-23 febbraio – è uno dei punti di un esposto redatto dall’avvocato Benedetto Maria Bonomo e firmato dal giornalista Stefano Salvi, uno degli inneschi dell’indagine della Procura di Bergamo –: quattro giorni dividono le sorti della provincia di Lodi da quella di Bergamo. Le scelte diverse ne determinano le conseguenze". Il Covd galoppa, incalza. Sono 35 i contagiati fra personale medico e infermieristico all’ospedale Pesenti-Fenaroli di Alzano. Il 16 marzo scompare Gennaro Leardi, un infermiere che vive con la famiglia a Pedrengo. Quella del primo aprile è la data sulla croce di Marino Signori, responsabile del servizio di medicina del lavoro dell’Asst Bergamo Est. Ha 62 anni.

Nembro. Salita verso la mezza montagna fra boschi antichi. Il sorriso gentile di Clara, la maggiore delle due figlie del medico. "Mio padre ha dedicato la vita al lavoro. E ha scelto di non tirarsi indietro nel momento del bisogno e di aiutare gli altri". Fra i primi a essere colpiti dal virus. Un giorno all’ospedale di Seriate. L’emergenza posti letto è drammatica. Il trasferimento all’ospedale di Lecco. Un mese di lotta in terapia intensiva prima della fine. In un Luogo delle Memoria i 188 morti di Nembro sono allineati in tre grandi pannelli trasparenti, come soldati caduti. C’è anche il padre di Salvatore Mazzola, palermitano di Montelepre, fino a qualche anno fa direttore d’albergo, poi panettiere per realizzare un sogno.

Aromi leggeri escono dal panificio. "Mio padre è stato lucido fino all’ultimo. Aveva il telefonino, ci parlava. È morto passandoci le consegne. Per lui e per tutti gli altri mi attendo giustizia. Una giustizia che insegni che questo non deve accadere mai più". Silvano Donadoni, sindaco di Ambivere è stato assessore alla Protezione Civile in Provincia, ma soprattutto medico di base nella tempesta del virus. Ricorda l’impreparazione nella prima riunione urgente con i primi cittadini della Bergamasca, il 23 febbraio 2020. "Eravamo 250, tutti stipati al centro congressi Giovanni XXIII. Io ero l’unico con la mascherina – ricorda – e un dirigente dell’Ats (ex Asl, ndr) mi prese in giro". Era solo l’inizio.