Mercoledì 24 Aprile 2024

Alex malato di linfoistiocitosi, la malattia e la terapia innovativa

Midollo donato dal genitore per correggere difetto genetico. Altri bimbi trattati al Bambino Gesu di Roma con la stessa tecnica

Analisi del sangue per candidati a trapianto di midollo (Ansa)

Analisi del sangue per candidati a trapianto di midollo (Ansa)

Roma, 24 gennaio 2019 - Il piccolo Alex è stato sottoposto in Italia, lo scorso 20 dicembre, a una terapia innovativa messa a punto all’Ospedale Bambino Gesù di Roma. Ma di quale malattia si tratta? Perché ci sono così tante difficoltà nella cura? E perché è stato portato in Italia? Vediamo di rispondere ai tanti quesiti sollevati in queste ore.

DI COSA SOFFRE ALEX? Il piccolo Alex è affetto da una rara malattia genetica, la HLH. Alessandro Maria Montresor, questo il nome per esteso del piccolo di 18 mesi trasferito all’ospedale Bambino Gesù di Roma per sottoporsi a un trapianto di midollo da genitore, è stato colpito da Linfoistiocitosi Emafagocita primaria, un difetto delle cellule del sistema immunitario, incapace di gestire e respingere le infezioni. La patologia rara colpisce un neonato su 50mila (quindi il numero di nuovi casi attesi in Italia è stimabile attorno a una decina l’anno) ed è frequentemente scatenata da un’infezione virale.

PERCHÉ SI È AMMALATO? La malattia è ereditaria, cioè discende dai genitori, ed è una malattia autosomica recessiva, nel senso che entrambi i genitori sono portatori sani del gene responsabile della patologia, quindi la coppia aveva un rischio del 25% di generare un figlio con la Linfoistiocitosi Emafagocita primaria (HLH). Dopo anni di ricerche è stato identificato il difetto che causa questa condizione. Si tratta della mancanza di una proteina essenziale per eliminare i virus che attaccano i linfociti: nel 40% dei casi è la perforina, in un altro 30% dei casi è Munc13-4, in casi più rari Syntaxin 11. 

COME SI MANIFESTA IL DIFETTO? Nel 70 per cento dei casi i sintomi compaiono nel primo anno di vita. Solo il 10% dei casi ha un esordio nel periodo neonatale. Le manifestazioni legate a Linfoistiocitosi Emafagocita primaria (HLH) sono febbre intermittente, ingrossamento progressivo di fegato e milza, rigonfiamento dei linfonodi, ittero con colorito giallastro della cute. Le manifestazioni cutanee (esantema maculo-papulare) sono meno frequenti. Altri sintomi sono legati a un interessamento del sistema nervoso centrale: irritabilità, convulsioni, deficit dei nervi cranici, instabilità motoria. Rigidità nucale e vaghi segni di ipertensione endocranica (mal di testa, vomito), sono diagnosticati nel 35-40 per cento dei pazienti. 

COSA VEDI DALLE ANALISI DEL SANGUE? Comuni reperti di laboratorio sono rappresentati da alterazioni dell’emocromo (in particolare riduzione del numero di piastrine), aumento dei trigliceridi, riduzione del fibrinogeno

COME EVOLVE LA MALATTIA? Senza trattamento, HLH è rapidamente fatale, con una sopravvivenza mediana di circa 2 mesi dall’esordio. La sopravvivenza a 5 anni è del 10 per cento nei casi trattati con polichemioterapia e del 66 per cento in quelli curati con trapianto di midollo osseo. Nel caso in cui non si riesca a trovare la migliore selezione del donatore, cioè l’alta percentuale di compatibilità tra donatore e ricevente, soprattutto in età pediatrica può rivelarsi efficace un trapianto in cui, attraverso una manipolazione cellulare, il donatore diventa la mamma o il papà. 

COME È STATO CURATO ALEX? Il trattamento che ha ricevuto Alex si chiama trapianto emopoietico da genitore con rimozione dei linfociti alpha/beta. La procedura è basata sulla manipolazione delle cellule staminali emopoietiche prelevate dal donatore per privarle selettivamente di tutti gli elementi che potrebbero aggredire l’organismo del ricevente. In assenza di un donatore perfettamente compatibile, questa tecnica rende possibile il trapianto di cellule staminali emopoietiche (comunemente detto trapianto di midollo osseo) anche da uno dei due genitori (compatibili con il proprio figlio solo al 50%). In questo caso le percentuali di guarigione sono sovrapponibili a quelle ottenute ricorrendo a un donatore perfettamente compatibile. 

QUESTO TRAPIANTO E' SICURO? All’Ospedale Pediatrico della Santa Sede la procedura di trapianto è ormai consolidata. Qui è stata utilizzata per il trattamento di più di 200 pazienti con risultati sovrapponibili a quelli ottenuti con i trapianti da donatore, familiare o non consanguineo, perfettamente compatibile. Oggi, la direzione dell’ospedale Bambino Gesù ha comunicato che il trapianto è riuscito anche nel caso di Alex, con l’attecchimento delle cellule trapiantate, e il piccolo verrà dimesso a breve. 

COME VENGONO TRATTATE LE CELLULE INFUSE? Si tratta di una procedura basata sulla manipolazione delle cellule staminali emopoietiche (ovvero destinate alla produzione delle cellule del sangue) prelevate dal donatore - nel caso di Alex, il donatore è stato il padre - per privarle selettivamente di tutti gli elementi che potrebbero aggredire l’organismo del ricevente. In assenza di un donatore perfettamente compatibile, questa tecnica rende possibile il trapianto di cellule staminali emopoietiche anche da uno dei 2 genitori (i quali sono compatibili con il proprio figlio solo al 50%). In questo caso le percentuali di guarigione sono sovrapponibili a quelle ottenute ricorrendo a un donatore perfettamente compatibile. 

CHI HA INVENTATO QUESTA TECNICA? La tecnica è stata messa a punto dall’équipe di Franco Locatelli, direttore del Dipartimento di Oncoematologia, Terapia Cellulare e Genetica del Bambino Gesù, e viene utilizzata per il trattamento di pazienti pediatrici affetti sia da emopatie maligne (ad esempio le leucemie) che da altre patologie congenite non tumorali (come le immunodeficienze primitive e le talassemie). Con tale tecnica, dunque, le cellule staminali prelevate dal sangue periferico della mamma o del papà vengono manipolate per eliminare le cellule pericolose in questo contesto (linfociti T alfa/beta+), responsabili dello sviluppo di complicanze legate all’aggressione da parte di cellule del donatore ai tessuti del ricevente, lasciando però elevate quantità di cellule «utili» capaci di proteggere il bambino da infezioni severe e, nel caso di pazienti affetti da leucemia, dalla ricaduta di malattia. 

CHE PERCENTUALI DI GUARIGIONE ABBIAMO? La percentuale di guarigione definitiva nei bambini con immunodeficienza primitiva è dell’85-90% circa. La HLH (Linfoistiocitosi Emofagocitica primaria) è una rarissima patologia ereditaria del sistema immunitario che colpisce circa 2 bambini ogni 100.000 nuovi nati e non lascia speranze se non quella di un trapianto di cellule staminali emopoietiche. Ad oggi sono cinquanta i bambini trapiantati al Bambino Gesù con la stessa tecnica usata con successo per il piccolo Alex, e l’85 per cento dei casi si è risolto con una guarigione. 

PERCHÉ SI RICORRE A QUESTO TRAPIANTO? Si tenta questa strada perché il trapianto di midollo donato da un genitore rappresenta l’ultima spiaggia, pur essendo tecnicamente la strada più difficile, l'estrema soluzione di sopravvivenza, per chi è affetto da linfoistiocitosi emofagocitica (HLH). Una strada scelta per salvare il bimbo trasferito dall’Ospedale Great Ormond Street di Londra all'Ospedale Bambino Gesù. Un trapianto nei casi di HLH tende a correggere un gruppo di disordini legati alla attivazione e proliferazione incontrollata dei macrofagi, un tipo di globuli bianchi che hanno il compito di partecipare nella difesa dell’organismo contro agenti estranei.