Venerdì 26 Aprile 2024

A caccia di pirati nell’Oceano Indiano. "Sono spietati, devono essere fermati"

L’ammiraglio Marchiò: "Ogni anno 200 attacchi tra sequestri di navi, equipaggi in ostaggio e richieste di riscatto"

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L’ammiraglio Riccardo Marchiò lascia in questi giorni il comando dell’operazione antipirateria tra l’Oceano indiano e il Golfo di Aden.

Ammiraglio quanto è diffuso il fenomeno della pirateria?

"L’enormità di ricchezze che viaggia in mare attira crescenti rischi e minacce tra cui casi di attacchi pirateschi su sfera globale. Il fenomeno è presente dove ci sono condizioni di sicurezza degradate, dove le istituzioni non sono in grado di esercitare un credibile controllo degli spazi sovrani. Le navi commerciali, soprattutto, diventano preda ideale per attacchi ad opera di piccole e veloci imbarcazioni, che partono dalla costa o colsupporto di ‘navi madre’. Negli ultimi 5 anni si registra una media complessiva di circa 200 attacchi pirateschi l’anno".

Quali sono le aree a rischio?

"Delle quattro principali macro-aree interessate da questo fenomeno, due sono gli storici teatri di azioni piratesche: il Sud Est Asiatico – lo Stretto di Malacca e le acque dell’arcipelago tra Indonesia, Malesia, Singapore e Filippine – e il CentroSud America, principalmente nel Mar dei Caraibi e nel Golfo del Messico. La pirateria si sta pericolosamente espandendo alle due macro-aree del Golfo di AdenOceano Indiano (dove è attiva dal 2008 l’Operazione Atalanta della Ue) e della costa dell’Africa Occidentale nel bacino del Golfo di Guinea, teatro di recenti attacchi".

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I pirati hanno alle spalle una organizzazione?

"La moderna pirateria è dinamica e articolata, con criminali che possono agire sia autonomamente sia inquadrati in vere e proprie organizzazioni. In quest’ultimo caso la pirateria ha risorse economiche e competenze tecniche tipiche della criminalità organizzata e una capacità operativa di primo rilievo. C’è chi tira le fila dell’organizzazione, cioè i fornitori di mezzi e armi per attaccare i mercantili, e chi opera in prima linea. Esistono diversi livelli: le reti criminali più attrezzate pianificano gli attacchi, mentre i gruppi criminali di minori dimensioni agiscono con la tattica del ’mordi e fuggi’".

Lei ha il comando delle operazioni in Oceano Indiano. Con che obiettivi?

"Tutto nasce nel 2008, quando l’Ue ha istituito la prima operazione militare, Eunavfor Somalia ’Operazione Atalanta’, con l’obiettivo di contrastare il fenomeno della pirateria in Corno d’Africa e nel bacino somalo. Da allora il dispositivo militare europeo opera con funzioni di prevenzione e contrasto ai pirati e per la protezione delle navi del World Food Programme. La presenza nell’area fornisce anche supporto alle operazioni ’sorelle’ della Ue (EU Training Mission Somalia e EU Somalia Capacity Building)".

Come agiscono i pirati?

"Con azioni armate, rapide e mirate, che possono svilupparsi con flessibilità di obiettivi. Si passa infatti dalla semplice sottrazione degli oggetti di valore di chi sta a bordo (navi passeggere), al sequestro dell’intera nave, passando per la depredazione di parte del carico o la presa in ostaggio di membri dell’equipaggio per la richiesta di riscatto".

Il sequestro di un natante è impegnativo.

"Infatti presuppone la disponibilità di zone di ancoraggio controllabili sulla costa; se al mercantile si associa anche il sequestro dell’equipaggio per riscatto le capacità logistiche aumentano, così come quelle per depredare un intero carico. Ci sono azioni sotto costa e abbordaggi in mare".

Quali sono gli impatti economici della pirateria?

"La sola minaccia latente di attacchi fa alzare il valore delle polizze assicurative. Si stima che la sola pirateria somala pesi sull’economia mondiale per 7 miliardi di dollari, con un costo complessivo generato dagli effetti della pirateria a livello mondiale di 25 miliardi di dollari".

Qual è l’impegno italiano nell’operazione Atalanta?

"La Marina esprime, in rotazione con la Germania, l’Ammiraglio Vice Comandante dell’intera Operazione che opera presso il quartier generale di Rota, in Spagna. Questo comando di livello strategico-operativo fornisce direttive ad una Task Force marittima rischierata in area di operazioni, la TF 465 di cui ho la guida di livello tattico, quale Force Commander".

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Qual è il contributo di mezzi italiani?

"Nella TF 465 prevede l’impiego di 2 unità navali per 8 mesi dotate ciascuna di 2 elicotteri. Ora, infatti, mi trovo ad operare, insieme al mio staff multinazionale, a bordo della Fregata Alpino che sta svolgendo dal 5 di ottobre il ruolo di ’Flagship’ del dispositivo europeo. Tra militari imbarcati e personale a terra, l’Italia contribuisce con 400 unità all’anno".

Che interventi sono in grado di fare gli uomini del San Marco che avete e a bordo?

"I nostri fucilieri di Marina, sono una componente specialistica in grado di svolgere missioni che vanno dalla difesa delle installazioni al raid anfibio, fino al supporto combat in operazioni di forze speciali. I soldati imbarcati ricevono un ulteriore addestramento in compiti di interdizione marittima. Questo li rende funzionali assicurando la capacità di abbordaggio ad unità navali soggette ad attacchi con inserzioni sia dal mare sia da elicottero. Gli episodi che nei giorni scorsi hanno visto protagonista la fregata italiana Martinengo nel Golfo di Guinea offrono un esempio".

Vi fermate in qualche porto sicuro per periodi di riposo?

"Normalmente l’equipaggio si riposa durante le soste in porto, ma in virtù delle restrizioni antipandemia e per evitare rischi di contagio è sospesa la possibilità di scendere a terra".