Martedì 30 Aprile 2024

L'architetto del Traminer

Elena Walch. Nell'azienda di famiglia in Alto Adige produce secondo i principi della sostenibilità bottiglie espressione unica del proprio territorio

Julia e Karoline, con la mamma Emma Walch

Julia e Karoline, con la mamma Emma Walch

TERMENO (Bolzano), TRENT’ANNI fa non erano tante le donne nel mondo del vino. Non erano tante quando Elena Walch, nata a Milano da genitori altoatesini, dopo avere sposato l’ultimo discendente di una famiglia dalla lunga tradizione vinicola, lasciò l’architettura per lanciarsi nella nuova avventura a Termeno (Tramin). Siamo sulla ‘Strada del vino’, sotto Bolzano, con il suo clima speciale regalato dal lago di Caldaro. Nacque così, a fianco della storica azienda Wilhelm Walch, il marchio che porta il suo nome e che ha trasmesso alle figlie Julia e Karoline, oggi alla guida.

Elena, quando decise di fare il grande ‘salto’? «Ho esercitato la professione di architetto per otto anni. Poi, dopo avere sposato un vignaiolo di quarta generazione, mi sembrava assurdo fare qualcosa di slegato all’attività famigliare. Le proprietà erano molto belle, ma per me dovevano essere curate al massimo per ottenere produzioni particolari e convinsi la famiglia a fare investimenti».

E così nacque ‘Elena Walch’. «Volevo mettere in risalto i luoghi, la provenienza dei vini. Proprio dietro l’azienda, a Termeno, c’è questa collina ripidissima, sembra una piramide. E’ la vigna Kastelaz, dove crescono il Gewürztraminer e il Merlot Riserva. Ma negli anni ’90 era una novità riconoscere la produzione di una zona rispetto a un’altra. Lo stesso è successo con la vigna Castel Ringberg sul lago di Caldaro, con diverse tipologie (come Chardonnay, Sauvignon e Lagrein, ndr)».

Fu una piccola ‘rivoluzione’. «Inoltre, il sistema di allevamento era solo a pergola, si guardava più alla quantità che alla qualità. Ma se avevamo terreni che erano veri gioielli, anche i vini dovevano diventarlo e così arrivarono i nuovi impianti. Ho avuto la possibilità di giostrarmi liberamente, ma sapendo che c’era dietro la grande esperienza della famiglia. Oggi i marchi sono due, con stili, target e clienti distinti».

Quali sono le caratteristiche dei vostri vini? «Ogni vino ha una sua firma. Io, 15 anni fa, introdussi la barrique, per dare struttura, ma senza tralasciare freschezza e mineralità. Negli anni si cambia un po’ la filosofia, anche nel trattare il terreno: ora conta molto la sostenibilità. Per me è sempre stato importante distinguersi, puntando alla qualità. Oggi riceviamo molti premi – ad esempio per il Gewürztraminer Vigna Kastelaz o la Grande Cuvée Beyond The Clouds – ma non dobbiamo sederci. Penso che l’eccellenza avrà un futuro».

Il mercato dove guarda? «Circa la metà è destinato all’esportazione, soprattutto nei paesi confinanti, come Svizzera e Germania, ma anche America».

Il gusto per l’architettura è rimasto nel vostro bistrot... «E lo stesso architetto ha progettato la nostra nuova cantina in acciaio per cio abbiamo ricevuto il ‘Premio di architettura’ nella sezione Turismo e lavoro».

E’ stato difficile, da donna, debuttare in questo mondo? «Anche quando ho iniziato come architetto ero l’unica in Alto Adige ad avere uno studio mio, ma l’ho sempre trovata una bellissima sfida. Mi iscrissi presto all’associazione ‘Le Donne del vino’, in cui trovai grande colleggialità e comunicazione tra le produttrici. A volte, quando sei all’inizio, hai remore a chiedere qualcosa agli uomini: nell’associazione eravamo tutte nella stessa situazione».

La vostra ora è una storia di donne che continua. «Il motivo è che abbiamo avuto solo figlie femmine (ride). Sì, tre anni fa ho passato il testimone a Julia e Karoline: le grandi decisioni le prendiamo insieme, ma la parte operativa la lascio a loro, anche perché condivido quello che fanno. Il bello è che una ha studiato in Australia, l’altra in Francia, con un’interessante sintesi fra vecchio e nuovo mondo. Quello che dico sempre loro è che devono restare nella scia della qualità, l’unica cosa vincente».