Lunedì 29 Aprile 2024

Addio a Fulvio Roiter, cantore di Venezia: il fotografo con il senso delle cose

Aveva 89 anni: Indro Montanelli lo definì il numero uno al mondo. I funerali venerdi 22 in Laguna

Da “Venise à fleur d’eau”, il libro d’esordio di Fulvio Roiter datato 1954

Da “Venise à fleur d’eau”, il libro d’esordio di Fulvio Roiter datato 1954

Venezia, 29 aprile 2016 - «Perché fotografo? Per emozionare, per trasmettere tutto quello che ho dentro, per comunicare il mio stato d’animo». Spiegava così il motore di quella passione diventata ben presto il suo lavoro, Fulvio Roiter. Il grande fotografo nato nel 1926 a Meolo, nella campagna veneta, autore di un centinaio di libri frutto dei suoi viaggi e di immagini memorabili, è morto lunedì scorso all’ospedale di Venezia, dopo una lunga malattia: «Serenamente, senza alcun accanimento», come ha voluto precisare la moglie, la fotografa belga Lou Embo. Aveva 89 anni e aveva indissolubilmente legato il suo nome ad alcune delle più belle immagini della città che avevano decretato il suo successo: nei primi anni ’50 Roiter aderì al circolo fotografico “La Gondola” e, ad aprirgli le porte della notorietà, fu il volume in bianco e nero su Venezia (“Venise à fleur d’eau”), il suo primo libro fotografico, datato 1954. Nello stesso anno ebbe l’incarico dalla Guilde du Livre di Losanna di realizzare un volume sull’Umbria di San Francesco. Proprio in terra umbra, nel gennaio del 1954, scattò nell’arco di poche ore quattro tra le foto più famose della sua lunga carriera: e “Ombrie. Terre de Saint-François” vincerà il premio Nadar nel 1956. «La fotografia è il linguaggio del nostro tempo: infatti, non potrebbe esistere un evento senza l’immagine – sosteneva Roiter, capace come nessuno di coniugare la bellezza estetica con la qualità del reportage –. E noi fotografi siamo gli interpreti, i narratori speciali dotati di quella sensibilità che ci permette con una sola immagine di poter immortalare l’essenza del fatto».    Carattere a tratti spigoloso, Roiter è stato tra i pochi fotografi veneziani ad aver conosciuto la fama internazionale. «Dopo gli inizi in bianco e nero ha affinato la sua tecnica e il suo sguardo proponendo immagini sempre più accattivanti e quindi apprezzate dal grande pubblico – dice di lui Manfredo Manfroi, ex presidente del circolo La Gondola e amico –, fama che lo ha portato ad allestire mostre e a pubblicare volumi in tutto il mondo». Anche un gigante come Indro Montanelli aveva di lui un’opinione altissima: «Credo sia questa mostruosa animalesca facoltà di concentrare tutte le forze intellettive nell’occhio a fare di Roiter il numero uno della fotografia mondiale, e lo dico senza esitazione – le parole del giornalista –. Può darsi che ce ne siano più tecnicamente rifiniti... ma nessuno sa cogliere come lui, oltre le cose, il senso delle cose». Di mondo Fulvio Roiter, dal viaggio in Brasile nel 1959 (il primo di una lunga serie), ne aveva visto tanto: Persia nel 1964, Turchia, Messico, Libano, Spagna, Irlanda, Louisiana, Tunisia.    Tra il 1972 e il 1974, scoprì l’Africa equatoriale, con una serie di viaggi in Costa d’Avorio, dove realizzò anche un reportage nello Zaire, sulle danze rituali dei Watussi. E ancora il Niger, Agades, la porta del deserto. Ammirato per la sua estetica nella fotografia in bianco e nero, negli anni ’70 decise di abbandonarla, per dedicarsi al colore: così nacque l’altra metà di Roiter, non più maestro del bianco e nero delle monachine in piazza San Marco, delle inconfondibili architetture della Serenissima e delle gondole nella nebbia sotto a Rialto, ma fotografo popolare, autore di cartoline e libri strenna sul carnevale dalle tirature stellari, che gli valsero la definizione di “industriale dell’immagine”, pur senza l’accezione negativa che il termine può richiamare.  «A questa città e al Veneto Roiter ha dedicato amore, attenzione, scatti entrati nella storia», il saluto del presidente della Regione, Luca Zaia. I funerali non potrebbero che svolgersi lì, nella sua Venezia, che gli dirà addio dopodomani.