Venerdì 26 Aprile 2024

Siria, i motivi (politici) della guerra. Perché Trump attacca Assad

Il tycoon ha fatto la sua mossa. Nel 2013 twittava: "Una follia colpire Damasco"

Donald Trump (Ansa)

Donald Trump (Ansa)

New York, 7 aprile 2017 - In Siria Donald Trump ha fatto la sua mossa. L'attacco nella notte sulla base di Al Shayrat è un monito al mondo intero.  Il presidente americano ha scelto di usare il pugno di ferro contro il regime di Bashar al Assad dopo un lungo vertice tra alti funzionari della Casa Bianca, il ministro della Difesa Jim Mattis, il segretario di Stato Rex Tillerson e il consigliere per la Sicurezza Nazionale H.R. McMaster. Non è un caso che, fra pochi giorni, proprio Tillerson sarà in viaggio in Russia. Secondo alcuni analisti, la decisione di velocizzare l'intervento servirà agli Stati Uniti anche per dare un maggior peso politico all'incontro con il ministro degli esteri, Serghey Lavrov. Che Mosca sia il principale alleato di Assad è cosa nota. Fino al punto di blocarre la quasi totalità delle iniziative diplomatiche al Consiglio di Sicurezza dell'Onu. Ma la decisione di Trump ha spiazzato tutti, non solo i russi. E dire che proprio il tycoon, il 5 settembre 2013, si schierava apertamente contro l'azione militare. "Una follia" colpire il regime di Damasco, scriveva su Twitter. "Di nuovo, ai nostri molto folli leader, non attaccate la Siria. Se lo fate molte cose brutte succederanno e da questa guerra gli Usa non riceveranno nulla!". 

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I MUSCOLI - Quella di Trump è una prova di forza. "E' di vitale importanza per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti prevenire e scoraggiare la diffusione e l'utilizzo di armi chimiche mortali", ha detto il tycoon. L'America non ha paura: fatti, non parole.  Ma ci sono anche motivi interni che hanno portato alle bombe. La pioggi di missili Tomahawk (ben 59),  accontenta in patria il partito dei falchi, in pressing da sempre perché la Casa Bianca intervenga contro Damasco.

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OBAMA - Un segnale di rottura anche con l'amministrazione Obama, piuttosto cauta nell'azione militare (quello di Trump è il primo attacco in Siria contro il regime dall'inizio della guerra civile) . Il plauso è arrivato subito dai senatori repubblicani John McCain e Lindsey Graham: "Diversamente dalla precedente amministrazione, il presidente ha affrontato un momento cruciale in patria ed ha agito. Per questa ragione merita il sostegno del popolo americano". I repubblicani infatti non hanno mai perdonato a Barack Obama di non esser intervenuto nel 2013, nonostante fosse stato provato l'uso di armi chimiche dal governo di Assad che sanciva il superamento "della linea rossa". Il presidente americano fu accusato di aver indebolito la leadership degli Stati Uniti.

Nella stessa situazione, Trump ha agito in maniera opposta. Se non fosse intervenuto "avrebbe dato l'impressione che stesse semplicemente seguendo la politica di Obama in Siria" ha spiegato Elliott Abrams a Politico, esperto di affari esteri sotto l'amministrazione di George W. Bush. A dire la verità, molti esperti sono rimasti sorpresi dall'inversione di marcia di Trump che in campagna elettorale assicurava che l'America  si sarebbe ritirata dal palcoscenico mondiale per curarsi prima di se stessa ("America first"). "Far cadere Assad non è più una priorità", sostenevano solo qualche giorno fa il segretario di Stato Tillerson e l'ambasciatrice americana all'Onu, Nikki Haley.

I DEMOCRATICI - E attenzione, perché il bombardamento della Siria ha ricevuto pure l'appoggio dei democratici che hanno solo auspicato che non si agisse senza una discussione. "Assicurarsi che Assad sappia che quando commette tali riprovevoli atrocità pagherà un prezzo è corretto", ha detto Il il leader della minoranza democratica al Senato, Chuk Schumer.  Per suo conto, Nancy Pelosi, ha avvertito che "la crisi in Siria non sarà risolta da una notte di attacchi aerei", osservando però che l'attacco ordinato dal presidente è "una risposta proporzionale all'uso delle armi chimiche da parte del regime".

Nelle ore precedenti, Politico aveva raccolto le posizioni dei Democratici. Il senatore Tim Kaine aveva detto: "Nel caso in cui si pensi ad una azione militare in  Siria, il presidente dovrebbe fare quello che fece Obama e venire al Congresso".  Trump ha preferito evitare, anche perché quando il suo predecessore penso all'intervento, fu proprio il Congresso a negargli il via libera. Un tycoon spregiudicato, quindi, al punto di rinnegare se stesso. Fu proprio lui, nel 2013, a predicare cautela e invocare passaggi formali. "Il presidente dovrebbe avere l'approvazione del congresso prima di attaccare la Siria. Se non lo facesse, sarebbe un grave errore", twittò nell'occasione.

I CONTRARI - Contrari all'attacco il senatore Ben Cardin, membro della commissione relazioni estere, che auspicava l'intervento delle istituzioni internazionali ritenendo Assad criminale di guerra. Duro anche il senatore Chris Murphy: "Lanciare bombe in un campo di guerra affollato potrebbe farci sentire grandi e forti, ma certamente non  la risposta a quello che sta succedendo in  Siria". L'attacco apre scenari imprevedibili. "Gli attacchi per punire Assad probabilmente uccideranno i russi stazionati nelle basi siriane. E se Russia e Siria dovessero rispondere con una escalation contro l'opposizione o ancora contro i civili, il presidente è preparato a rispondere a sua volta o farà marcia indietro?", si chiede Philip Gordon, membro del Consiglio per le relazioni internazionali, tra i consiglieri di Obama per il Medioriente.

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