Mercoledì 24 Aprile 2024

Pd: vinceremo anche sull'Italicum. L'obiettivo di Renzi resta il voto

Fedelissimi sicuri: Corte manterrà il premio di maggioranza

Matteo Renzi (ImagoE)

Matteo Renzi (ImagoE)

Roma, 12 gennaio 2017 -  Agli occhi di molti osservatori, la sentenza della Consulta che ha bocciato il Jobs Act allontana, e non avvicina, la data delle urne: «Renzi non ha più la scusa di far slittare il referendum anti-articolo 18 per portarci al voto» hanno esultato, ieri, in molti e in coro, da Forza Italia ai centristi. Invece, per i renziani – la cui fede nel voto anticipate è incrollabile – le cose sono diverse.

«Mica potevamo far cadere il governo Gentiloni per non far tenere il referendum!» sbotta un renziano di prima fascia. «Anzi, abbiamo segnato un punto: il Jobs Act nelle sue linee fondamentali viene confermato dalla sentenza della Consulta», chiude mentre il segretario rompe il silenzio solo per fare gli auguri di pronta guarigione a Gentiloni e inneggiare agli otto anni di Obama con tanto di inno al «valore della sconfitta da cui ripartire».

SI SA, Renzi e i suoi solo a quello pensano, a come arrivare al voto anticipato (data cerchiata in rosso l’11 giugno), ma è una corsa contro il tempo. Infatti, la stessa Consulta che ieri ha emesso sentenza in un battibaleno, quando tornerà a riunirsi, il 24 gennaio, per decidere cosa abbattere dell’Italicum, se la prenderà più comoda. Se tutto va bene, la sentenza arriva a febbraio.

Da quel giorno, inizieranno a correre veloci i renziani e a rallentare tutti gli altri, fuori e dentro il Pd, per desumere, dalla sentenza, «leggi elettorali omogeee tra Camera e Senato», come chiede Mattarella.

Due mesi buoni se ne andrebbero per fare la nuova legge elettorale, due mesi sono obbligatori per indire i comizi elettorali da quando vengono sciolte le Camere. Inoltre, bisognerà vedere con quali altri partiti (centristi? Forza Italia? Entrambi? Lega e M5S?) il Pd di Renzi riuscirebbe a trovare i numeri per approvare il ‘post-Italicum’. Una legge elettorale che – così dicono i boatos del Nazareno che raccolgono gli spifferi dei giudici – «se la Consulta non abolirà il premio di maggioranza, ma solo il ballottaggio, sarà una via di mezzo tra l’Italicum e il Consultellum», la legge di risulta per il Senato che la Consulta ritagliò abolendo il Porcellum.

Al Senato, esponenti vicini all’ex sindaco di Milano, Pisapia – che punta a correre alle primarie del centrosinistra che Renzi farà per legittimare la sua leadership – ne hanno parlato con esponenti azzurri trovandosi d’accordo.

Senza ballottaggio, ma con il premio (irraggiungibile) mantenuto al 40%, tutto si giocherebbe sulle soglie di accesso. Il compromesso, utile ad accontentare i ‘piccoli’ neo-centristi come della sinistra, sarebbe il 5% per i partiti non coalizzati (quelli che corrono da soli) e il 2,5% per i partiti in coalizione.

Questo alla Camera perché, invece, al Senato le soglie sarebbero diverse e assai più alte (8% i singoli e 4% per i partiti in coalizione). Il che permetterebbe anche di ritagliare, per chi vince, un piccolo premio, alla coalizione (come chiedono in molti) e non più al primo partito.

SI VEDRÀ. Certo è che, contro Renzi, giocano in diversi. Alcuni hanno nomi e cognomi: Silvio Berlusconi, Pier Luigi Bersani (ieri ha detto che «il governo Gentiloni ha tante cose da fare»), i parlamentari di ogni ordine e grado che non vogliono festeggiare il Natale in anticipo e il Colle. Poi ci sono alcune forze e poteri esterni: Confindustria, i sindacati, i ‘salotti buoni’ e, non ultima, la Ue. La quale, a marzo, dovrebbe chiedere al governo italiano una «manovrina» aggiuntiva e, a ottobre, una «manovrona» da 20 miliardi, altrimenti farebbe scattare le famose e salate «clausole di salvaguardia».

Ecco, se si arrivasse a tanto, la voglia di andare a votare prima di febbraio del 2018, passerebbe come d’incanto persino a Renzi.

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