Lunedì 6 Maggio 2024

Il senso di una sfida

Roma, 6 settembre 2016 - «Non perdiamoci di vista». Così Massimo D’Alema ha salutato i tanti convenuti al suo convegno per promuovere il No al referendum costituzionale. Nei cerimoniali privati un simile commiato spesso maschera un addio reale in un arrivederci di pura cortesia. Non sembra questo il caso. Al contrario l’oratore ci ha tenuto a sottolineare che i nuovi appuntamenti non si esauriranno con la fine della campagna referendaria ma proseguiranno anche dopo. Sommando a questa indicazione l’annuncio che resterà nel partito democratico – dopo tante voci sui suoi propositi scissionisti – se ne desume che l’ex presidente del consiglio ha deciso di ricominciare a far politica in Italia. Lo stesso senso del resto hanno anche le parole scherzose rivolte ai giornalisti presenti: «Visto che quando dico che lavoro all’estero non ci credete eccomi qui». Ovviamente D’Alema ci ha tenuto a presentare il suo impegno come volto all’interesse del paese e non a dividere il partito democratico, senonché si è subito contraddetto.

​L’OBIETTIVO della sua campagna oltre al no a «una riforma pastrocchio» sbagliata nel metodo e nel merito sarà infatti quello – ha scandito – di spazzar via dall’orizzonte politico il partito della nazione di Renzi. Dunque, il suo scopo è mettere in campo un’iniziativa che al trasformismo di Renzi, gran reclutatore di transfughi, contrapponga la riaffermazione di una sinistra tradizionale. Come di prammatica, appena lanciato il messaggio identitario, D’Alema si è affrettato a rilanciare anche l’appello al centro sinistra e ai cattolici democratici. Che dire? Da chi condusse un’estenuante battaglia per un centro-sinistra col trattino contro il centrosinistra prodiano che voleva fondere e in effetti riuscì a fondere in unico partito gli eredi del Pci e i progressisti della Dc non ci si poteva aspettare niente di più e di diverso. Semmai c’è da chiedersi come mai questa marcia all’indietro e l’inesorabile effetto di déja vu che suscita tornino di attualità.

IL PUNTO è che D’Alema sembra riempire un vuoto, anzi, più di uno. Il vuoto politico del fronte del No diviso tra ragionatori da salotto e urlatori da taverna. Il vuoto dei 5 Stelle che arrovellandosi tra divisioni, dimissioni e sospensioni dei loro sindaci e delle loro giunte hanno delegato la loro campagna referendaria e il loro rapporto con la realtà al turismo in motocicletta di Di Battista.

Il vuoto del centro destra che non vuole uscire dal lungo coma e mentre aspetta il buon Parisi non rinuncia a sgambettarlo. Infine il vuoto della cosiddetta sinistra del Pd popolata di mezze figure che tutte insieme non ne fanno una intera. D’Alema è quel che è, è antipatico, ha alle spalle una carriera più lunga e con molti meno meriti di quella di Craxi ma, vivaddio, almeno è uno che non ha dimenticato che le battaglie politiche si vincono facendo politica. E, comunque, tranquilli, non sarà il prossimo leader, al massimo servirà a ridimensionare alcuni di quelli che occupano abusivamente la scena.