Mercoledì 24 Aprile 2024

Outlet, coop rosse e scatole cinesi. La ragnatela d’affari targata Banca Etruria

Gli interessi di papà Renzi e i legami con gli ex vertici della banca

Banca Etruria

Banca Etruria

Firenze, 19 dicembre 2015 - SOCIETÀ fluide, sinergie aziendali con circuiti chiusi di nomi – imprenditori, politici o faccendieri più o meno noti – che affiorano, spariscono e infine rispuntano. Un sistema cervellotico di scatole cinesi dove i fili conduttori sfuggono per poi riapparire sotto forma di percentuali. È una matassa densa quella che avvolge il caso di Banca Etruria. Con un collante forte, la politica, e una serie di personaggi che gravitano intorno a gruppi di potere locali e intrecciano i loro destini con realtà che spesso vivono di pari passo con il mondo delle cooperative rosse. E mentre la procura di Arezzo apre un quarto filone d’inchiesta con l’ipotesi di truffa in seguito alla vendita di obbligazioni subordinate, viene stilata la lista dei soggetti che avrebbero ricevuto finanziamenti per 185 milioni di euro, costati 18 milioni di perdite alla banca. Soldi piovuti – nell’ambito di un "conflitto d’interesse" con gli amministratori dell’istituto di credito – a una carrellata di società, holding e coop legate per di più al settore immobiliare e alla realizzazione di outlet. I nomi caldi sono due, quello dell’ex presidente del cda di Banca Etruria, Lorenzo Rosi, e l’ex consigliere Luciano Nataloni – una vita professionale in simbiosi con i poteri politici di turno, a cominciare dal mondo dei Ds fiorentini degli anni ’90 – considerato il cervello di gran parte delle operazioni. Si parla, in sostanza, di un presunto sfruttamento a fini personali di ruoli rivestiti all’interno della banca. Le società, per citarne alcune, spaziano dall’Immofin srl impegnata nel settore alberghiero alla Td Group Spa "specializzata nell’installazione di macchine per ufficio".

MA È il settore relativo agli outlet quello sul quale i magistrati puntano i fari con più insistenza. Uno dei crocevia della ricostruzione degli affari compiuti, anche grazie ai soldi di Banca Etruria, è la "Castelnuovese", gigante del settore delle coop presieduta da Rosi fino al luglio del 2014 e nel consiglio della quale figurava ancora Nataloni. La Castelnuovese, secondo le ricostruzioni, ha realizzato a Pescara l’outlet Città Sant’Angelo, beneficiario di un altro finanziamento. Ma il sistema delle scatole cinesi procede in uno zig zag frenetico che si sposta da una città all’altra, da una società all’altra. Rosi, per esempio, è l’amministratore unico di "Egnatia Shopping Mall" che ha tra i soci proprio la Castelnuovese. Il socio di riferimento della "Egnatia" risulta essere invece la "Nikila Invest srl" che fa capo all’ingegner Ilaria Niccolai ed ha di recente acquistato per realizzarci appartamenti di lusso l’ex Teatro comunale di Firenze. A sua volta la Nikila vanta una partecipazione del 40% nella "Party srl" di cui è socio Tiziano Renzi e amministratore unico la madre del premier Laura Bovoli (che, tuttavia, nell’ultima dichiarazione relativa alla situazione patrimoniale presentata nella sezione ‘amministrazione trasparente’ del sito della presidenza del Consiglio non ha elencato la costituzione della società limitandosi a certificare, nel 2014, l’acquisto di un’auto usata).

L’INTRECCIO non convince il capogruppo regionale toscano di Fratelli d’Italia, Giovanni Donzelli – fin dai tempi di Palazzo Vecchio fa le pulci ai conti di casa Renzi – che parla di «interessi economici comuni fra Tiziano Renzi e Lorenzo Rosi, provati dai legami che ci sono in almeno sette società fra i due soci del papà del premier, che a loro volta figurano in affari con l’ultimo presidente di Banca Etruria finito sotto indagine». Inutile dire che a stretto giro è arriva la smentita di papà Renzi. Ma il groviglio Etruria ha anche un altro risvolto e riguarda il ‘capofila’ dell’indagine aretina, il procuratore Roberto Rossi. Il Csm ha aperto un fascicolo per verificare eventuali profili di incompatibilità tra il suo ruolo e l’incarico di consulente del dipartimento Affari giuridici e legislativi di Palazzo Chigi. Incarico che, si è affrettato a dire Rossi ieri, «è stato autorizzato dal Csm».

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