Quante Coree, da Pak Doo Ik ad Al Dawsari

I fallimenti più rumorosi: nel 1966 azzurri fuori a sorpresa contro gli asiatici del nord, nel 2002 quelli del sud eliminarono Trapattoni

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di Leo Turrini

Pak Doo Ik. Segnatevi questo nome, che poi ne riparliamo. Perché in fondo siamo tutti figli di un Dio minore, il Dio pallone. E nessuno può ritenersi al riparo da sorprese sinistre, inaudite, clamorose, rovinose, quando una sfera rotola sull’erba.

Insomma, la faccio breve. Come immagino sappiate, l’Arabia Saudita (ripeto: l’Arabia Saudita) ha battuto l’Argentina di Leo Messi. Una roba sconvolgente, tanto che sui social si è scatenata l’ironia del popolino. Tradotto: per una volta Matteo Renzi l’aveva azzeccata, celebrando un improbabile “Rinascimento” tra Riad e Gedda. Il giovanotto fiorentino mica parlava di diritti umani, bensì di football…

Sia chiaro, a scanso di equivoci: mica è la prima volta. Il calcio è un mistero avvolto nell’enigma. La sua bellezza in questo risiede, nella capacità di azzerare, talvolta, qualunque logica. Per la serie (sessista): se un uomo in mutande può fare di tutto, figuratevi se in mutande di maschi ce ne stanno ventidue.

Ora, io sono ben lieto di lasciare ai presunti esperti la spiegazione della disfatta argentina. Di sicuro scomoderanno gli errori arbitrali e poi la presunzione di superiorità, il delirio di onnipotenza, la smodata sicurezza di chi ancora ieri Roberto Mancini, il nostro malinconico ct, indicava come favorita unica per la Coppa. E come il povero Mancio la pensavamo in tantissimi.

Ebbene, fidatevi. E non abboccate a chi sta già gridando alla rivoluzione pedatoria. Sono tutte balle, come ebbe gentilmente modo di raccontarmi Pak Doo Ik, il tizio che ho evocato all’inizio.

Mi serve un lunghissimo passo indietro. 1966, Mondiale di Inghilterra, l’Italia di Rivera-Mazzola-Bulgarelli-Facchetti era una candidata al titolo. Invece fu eliminata dai feroci comunisti nord coreani, gente che pare mangiasse vermi e bevesse acqua dalle pozzanghere, altro che spaghetti e Chianti.

Quel disastro cambiò per decenni il vocabolario di noi italiani ("È stata una Corea", mi disse ai tempi del liceo classico un compagno di classe respinto con perdite dalla più bella della scuola. È stata una Arabia Saudita, immagino in circostanze analoghe dicano da ieri i ragazzi di Buenos Aires) e però quella sconfitta del 1966 in realtà fu molto figlia del caso, come credo sia capitato a Messi, Lautaro e Di Maria nel deserto del Qatar.

Me lo disse proprio Pak Doo Ik, l’autore del gol della Corea del Nord che ci buttò fuori dal mondiale nel 1966. Lo incontrai oltre vent’anni anni dopo all’Universiade di Zagabria del 1987. Pak era stato descritto come un aspirante dentista. Invece insegnava ginnastica. Mi sussurrò: "Gli italiani erano campioni, erano più bravi di noi. Ma tutto girò a nostro favore, quella sera".

E così ci siamo. Il calcio è magia perché sa essere folle. Nel 1950 sempre ai Mondiali undici universitari americani batterono i Maestri inglesi. Nel 1982 un manipolo di volenterosi algerini sconfisse la Germania di Rummenigge. Nel 1990 Maradona fece come Messi ieri, cioè rese celebri gli sconosciuti del Camerun (tra parentesi: nelle edizioni citate Rummenigge e Maradona arrivarono comunque a giocare la finale).

Succede. Ed è stupendo, se non stai tra i perdenti. È la meraviglia del calcio. E proprio per questo non qualificarsi per i Mondiali, accidenti!, è uno scandalo.

Nell’anima.