Giovedì 25 Aprile 2024

Dorothea Wierer, sorrisi e carabina: "Sogno l'oro"

E' una delle nostre grandi speranze a Pyeongchang: "Ma la medaglia non deve essere un’ossessione"

Dorothea Wierer (Ansa)

Dorothea Wierer (Ansa)

Roma, 18 gennaio 2018 - C'è un tabù da sfatare. Quello dell’oro olimpico, che manca ancora all’Italia del biathlon, disciplina emozionante e «maledetta» in quanto tutto può cambiare in un attimo. Sport numero uno per «lancio del telecomando», come mirabilmente descritto in televisione. Inserito nel programma maschile ai Giochi a Squaw Valley 1960 e in quello femminile solo ad Albertville 1992.  C’è una squadra azzurra che non è mai stata così competitiva, almeno contemporaneamente, con tanti uomini e tante donne (al netto dei fasti maschili targati anni ‘90 e dei successi di Nathalie Santer) e dopo il bronzo nella staffetta mista a Sochi 2014 sogna il metallo più pregiato. E c’è una ragazza semplice, dalla «erre arrotondata» e il sorriso radioso, modi educati, ma decisi, amante dello shopping, del trucco in gara, con un debole per pasta e cioccolata, campionessa 2.0 che sguazza con piacere sui social ed è terza nella classifica generale in Coppa del Mondo. Viene da Rasun di Sotto, Valle di Anterselva, Sud Tirolo, patria del biathlon italiano, e da una famiglia di atleti. Quello della leggendaria «Arena», stadio di biathlon ad Antersvelva da oggi sede sede della tappa italiana in Coppa (si parte proprio con la sprint femminile, alle 14.15), è il suo mondo da quando aveva dieci anni. 

Gira con... una carabina calibro 22 caricata a 5 proiettili, ma non temete: il porto d’armi ce l’ha l’allenatore e lei spara solo ai bersagli del poligono. Veloce come nessun altra, precisa fino al 90% in stagione. Ha fascino, stile, si è trasferita per amore del marito Stefano Corradini in Val di Fiemme, fa impazzire i russi, ma è soprattutto brava: vanta 4 vittorie e 20 podi individuali in Coppa del Mondo, tre medaglie mondiali, una olimpica. 

Si chiama Dorothea Wierer, ha 27 anni, ed è il volto più noto (ma non certo l’unico) del biathlon azzurro che sogna l’agognato oro a Cinque Cerchi. 

Dorothea, come ha vissuto i suoi primi Giochi, a Sochi, nel 2014?

«Stare insieme ad atleti di tutto il mondo, vivere due settimane a contatto con diverse culture, sapere di avere i riflettori puntati addosso: tutto questo è speciale. A Sochi ero sicuramente emozionata, a Pyeongchang la maturità dovrebbe darmi una mano a vivere l’Olimpiade in maniera più serena e consapevole dei miei mezzi». 

A marzo 2017 si «sfogò» un po’ sui social con chi non apprezzava nemmeno un piazzamento...

«Dopo una stagione (2015-2016, ndg) in cui avevo raggiunto grandi risultati, le aspettative su di me erano altissime. Quando ti dicono «solo terza», «solo quinta» capisci che è difficile far comprendere il significato del lavoro che facciamo durante l’anno. Non siamo mai a casa, anzi, quasi sempre in ritiro e in giro per l’Europa. Bisogna accettare anche le critiche, certo, ma non sono sempre obiettive. Il nostro sport è complesso, unire fondo e tiro vuol dire che fisico e mente devono essere sempre al 100%, basta un niente per cambiare il risultato di una gara».

Marito e... allenatore: pregi e difetti della situazione?

«Dico la verità, quando arrivo a casa con Stefano non parliamo mai di biathlon o fondo o sport. La mia casa è il mio rifugio, dove posso rilassarmi e ricaricare le pile. Cucina mio marito, che è più bravo di me ai fornelli. Ci piace anche trascorrere i weekend in giro, al Lago di Garda, al mare, a Livigno. E non stiamo mai fermi, facciamo un po’ di tutto: bici, snowboard, sci da discesa, arrampicata e... shopping, una specialità che mi riesce bene!».

In ottica Pyeongchang 2018 quale aspetto tecnico deve migliorare di più?

«Vorrei essere al massimo della forma sugli sci e penso che ormai ci siamo, ma anche al poligono mi sento abbastanza sicura. Basta solo che riesca a “scaricare a terra” tutto il lavoro fatto in estate e in autunno».

Stefania Belmondo raccontò che la popolarità all’inizio le sconvolse la vita. Com’è stato per lei?

«La popolarità non mi pesa, mi fa piacere quando mi chiedono di fare una foto o firmare un autografo, io poi sono rimasta sempre la stessa. Quello che mi è pesato è stata la pressione dell’ambiente esterno. Aspettative su di me sempre altissime e così rischi di andare in tilt. Fai fatica a riposare, a recuperare le energie, hai addosso tanto nervosismo, che sicuramente non ti aiuta a far bene in gara».

Lo sa che manca solo un oro al biathlon italiano ai Giochi?

«Ci penso, ma non deve essere un’ossessione: alle Olimpiadi avrò a disposizione sei gare (sprint, individuale, inseguimento, mass start, staffetta femminile e mista, ndg), io punto sempre a dare il massimo. Quando non hai nulla da recriminare e hai la mente sgombra, tutto è possibile. L’oro è chiaramente il sogno di ogni atleta, ma anche gli altri metalli non mi dispiacciono. Siamo in venti in grado di vincere o... non prendere niente».