È da poco stato eletto ’Personaggio dell’anno’ per Vinoway Selection 2024, prestigioso evento nato per celebrare i vini italiani di eccellenza e le figure più influenti del settore vitivinicolo. Una sorta di ’Oscar’ quello assegnato a Enrico Coser che "è stato una sorpresa– spiega il produttore di Ronco Dei Tassi, nel cuore del Collio goriziano – che sta continuando a scrivere, con una nuova grammatica più dinamica, la storia dell’azienda di famiglia. "Iniziarono i miei genitori 35 anni fa – spiega –, mio padre, enologo, trovò questa proprieta con 3.5 ettari di vigna. I ronchi sono terreni terrazzati non molto alti e la proprietà lambisce un parco naturale, ricco di funa selvatica: ci sono molte colonie di tassi".
Ed ecco spiegato il nome.
"Esatto. Negli anni sia io che mio fratello ci siamo formati. Io sono enologo e seguo la parte commerciale, Matteo è agronomo: si è resa necessaria una crescita. Puntiamo molto sulla linea Ronco dei Tassi, all’interno della Doc Collio. Ora abbiamo una trentina di ettari, mentre altre vigne sono nella doc Isonzo e in pianura".
Ci racconta Ronco dei Tassi?
"Esprime l’identità varietale e di territorio ed è indirizzata alla ristorazione. Esportiamo circa il 65%, soprattutto nel Nord Europa, in Germania, Stati Uniti, Canada, mercati asiatici, Australia: oltre 35 paesi, sempre nel circuito Horeca. D’altra parte siamo focalizzati sul territorio, la gamma predominante è di origine autoctona, dal Picolit al Collio bianco. Completano la linea due vitigni internazionali, arrivando a una gamma di otto vini,di cui solo uno è rosso".
Una fotografia della vostra azienda oggi?
"Siamo diventati fra le aziende un po’ leader del territorio e dinamiche sul mercato con una forma di passaggio generazionale molto graduale: abbiamo dato un passo più giovane rispetto al periodo precedente. Il papà però è sempre presente, ci aiuta molto e noi abbiamo mantenuto lo stile e l’identità".
Come sta il comparto alle vostre latitudini?
"È un mondo che ha subìto un po’ di rallentamento dal Covid. Per fortuna noi siamo frammentati su tanti mercati e non abbiamo avuto dei cali di vendite".
Il Friuli Venezia Giulia è una regione storica per la produzione di vino.
"Sì, e la doc Collio è stata una delle prime a produrre vino bianco di qualità imbottigliato. Il nostro è un territorio che ha subito molti danni durante la Guerra, ma, forse anche come terra di confine, è anche molto aperta all’innovazione. C’è stata molta ricerca negli anni 60/70, quando siamo diventati un po’ i ’primi della classe’, degli apripista sul mercato nazionale per i vini bianchi di qualità".
Perché il Collio è così unico?
"Siamo nel punto più a nord di tutto il mar Mediterraneo e noi siamo a 156 chilometri dall’Adritico, che mitiga il clima, ma anche a 60 chilometri dalle Alpi e questa vicinanza ci offre brezza continua, una escursione termica che favorisce i precursori aromatici".
Un vitigno importante per voi?
"Ci siamo identificati nella Malvasia Istriana, per la passione del papà e perché dà maggiori soddifazioni produttive. Era il vino di Venezia, fu importata dalla Grecia con scambi commerciali e si è evoluto in 700/800 anni: è sempre stata legata al mare, in abbinamento con il pesce. E ora con la cucina asiatica".