Venerdì 26 Aprile 2024

Il nettare de' Medici

Artimino. Nella tenuta fiorentina attorno alla villa "La Ferdinanda" nascono vini pregiati in equilibrio tra innovazione e storia

Vigna

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FIRENZE, QUANDO «vino» fa rima con «storia», con un passato denso di gloria. Ma anche con un presente proiettato verso la ricerca di tecnologia e futuro ma al tempo stesso del passo antico dell’agricoltura sostenibile rinfrancato dalla pratiche biologiche. E’ un quadretto diffuso, in Toscana; ma ci sono luoghi dove lo tocchi con mano, lo avverti netto tutto quel formidabile connubio. E uno di questi è certamente la Tenuta di Artimino. Perché al centro, anzi al cuore, c’è l’epopea della famiglia de’ Medici – quella vera, non quella da operetta delle saghe tv – racchiusa in una villa, ‘La Ferdinanda’, detta anche ‘dei Cento Camini’ e sorta oltretutto su un luogo sacro già da millenni, scelto per quello scopo fin dagli Etruschi.

E C’È comunque il vino, ed è un vino che ha da sempre sapore internazionale: nel 1716, quando il Granduca di Toscana Cosimo III (penultimo sovrano toscano dei Medici) lanciò il bando che inventava le «denominazioni» vinicole ante litteram, c’era dentro Carmignano, quindi il territorio di Artimino con tutto il Montalbano, e il Cabernet era già un vitigno di territorio perché i Granduchi scambiavano con la Francia per via di due regine che a Parigi avevano inviato.

STORIA, già, non a caso uno dei vini di Carmignano, e anche della Tenuta di Artimino, si chiama per l’appunto Barco Reale (qui è Ser Biagio, l’etichetta, e anche questa è una storia gustosa…), proprio come l’immensa riserva di caccia voluta dai Medici proprio dietro la Ferdinanda. Storia che però non si ingessa sul passato. Vini, quelli di Artimino, che sanno di tradizione e identità ma anche di gusto elegante e moderno: sono le idee di Annabella Pascale e di Francesco Spotorno Olmo, eredi della famiglia che acquistò l’azienda trent’anni fa (Olmo, un nome che carezzerà il cuore degli amanti del pedale…), tradotte in pratica dal lavoro coordinato a quattro mani da Alessandro Matteoli, l’agronomo, e Filippo Paoletti, l’enologo. Idee che si traducono in interventi soft nel vigneto senza diserbi chimici, con scelte etiche e selezione di cloni «che diano voce al territorio e alle sue caratteristiche», e poi in cantina attraverso la valorizzazione di ogni uva «con i suoi profumi e le sue caratteristiche».

IL COMPENDIO di tutto questo sorride ancora alla storia che nasce da lontano e guarda avanti, e si traduce in un brand: Artimino 1596, come l’anno di costruzione della Ferdinanda. Grumarello e Poggilarca, Carmignano Docg riserva e annata; Artumes, il bianco; Iris, il vino internazionale, il vinsanto Occhio di Pernice antico nettare d’ambra, questi ultimi insigniti del Gold e del Platinum al recente Merano Wine Festival, il Barco Reale e il caratteristico Vin Ruspo espressione tipica dell’area di Carmignano. E poi gli altri, il Chianti, il Centocamini, gli altri Vinsanti. E la bottiglia che è memoria di famiglia, la magnum di Grumarello «45,090». Il mitico record dell’ora di «Gepin» Olmo al Vigorelli. Era il 1935: come corre la storia tra queste colline.