Mercoledì 24 Aprile 2024

Marco De Marchi, un calcio senza confini: l’ex difensore lancia i ragazzi

Marco De Marchi, Procuratore sportivo

Marco De Marchi, Procuratore sportivo

"Tutti dobbiamo tendere la mano, il campo serve anche per crescere Ciascuno può fare molto per eliminare certi atteggiamenti"
NATO A Milano
ETÀ: 52 anni
PROFESSIONE: Procuratore sportivo
“Ho sempre considerato il calcio come veicolo di valori e un’opportunità incredibile per fare amicizie e costruire rapporti”. Parola di Marco De Marchi, che dopo una lunga carriera da giocatore con Juve, Bologna e Roma (e un’appendice finale all’estero in Olanda e Scozia) ha trasferito tutta la sua esperienza nella sua nuova vita di procuratore e di organizzatore del torneo giovanile “We Love Football” a Bologna. È un approccio nuovo, inclusivo e agli antipodi dalle odierne esasperazioni, quello che De Marchi promuove nel mondo del pallone. Perché poi, con una sorta di reazione a catena, da un’iniziativa ne nasce sempre un’altra e lui è anche presidente di “Amici di We Love Football”, associazione che fa da contenitore a un progetto spiccatamente sociale.

-De Marchi, la vostra attività si estende tanto oltre confine e avete dato vita anche a “We Love Rwanda”. «Certo, è una delle cose di cui andiamo più fieri. Tutto, nel nostro progetto, nasce dalla volontà di aiutare gli altri che condivido con mia moglie Stefania. Un’impostazione che ci hanno dato le nostre famiglie. “We love Rwanda” è un progetto di sviluppo e integrazione che ha preso forma in parallelo alle nostre altre attività, con la Associazione Solidarietà Terzo Mondo Onlus di Sondrio. È mia sorella Morena a seguire da dieci anni le attività di supporto a questo Paese, cui dedichiamo energie e risorse. È c’è stato un risvolto anche sportivo, con il torneo “Play to Win Together” organizzato da Padre Onesphore Ntivuguruzwa. Sì, il calcio è proprio un veicolo universale di valori e come solo la musica può unire culture ed energie». Non sembrerebbe così, a giudicare dalle divisioni che rovinano questo ambiente. «Ovviamente l’atteggiamento di partenza, da parte di tutte le persone che vivono questo mondo, deve essere quello di tendere la mano. Io ho sempre cercato di farlo, di giocare così questa partita che va oltre il campo. Senza la volontà di andare incontro all’altro, poco può succedere. Ancora mentre giocavo, capivo che la mia carriera sarebbe stata solo una parte della mia vita. Era importante costruire rapporti, amicizie. E da questo punto di vista, ho avuto veramente tanto». Nel finale di carriera ha giocato in Eredivisie in Olanda, con il Vitesse, e poi in Scozia, al Dundee. «Sono state due esperienze fondamentali, hanno contribuito ad allargare le mie prospettive. Appena arrivai in Olanda, in particolare, mi accorsi della capacità di questo popolo di favorire l’integrazione. Notai il rispetto che c’era per tutte le persone. Ovviamente, si pretendeva anche, in senso inverso, che ci fosse il pieno rispetto per la cultura ospitante». Il torneo “We Love Football” metterà di fronte giovani di tante nazioni. «Il nostro obiettivo è quello di creare un punto di incontro di talenti ed esperienze, nel segno della qualità. Questi ragazzi avranno modo di avere un’esperienza che mostrerà loro diversi aspetti dello sport professionistico. Il calcio vive di dedizione, rispetto delle regole. Sono valori irrinunciabili, che purtroppo credo che fossero molto più diffusi una volta. Erano insiti in noi giocatori. Vedo purtroppo che non è più così e il nostro progetto in parte nasce anche dal rammarico di non vedere più questi capisaldi nel calcio». Gli episodi di razzismo sembrano essere purtroppo una sinistra costante del mondo del pallone, a tutti i livelli. «Credo che lo stadio sia un po’ uno specchio della società. Le persone oggi sono spesso insoddisfatte, e in molti casi riescono a vivere in maniera dignitosa con grande fatica. Purtroppo, però, lo stadio da sempre viene vissuto come un catino di sfogo, e finisce per essere anche un luogo in cui si riversa anche molta stupidità. Credo che molte persone non si rendano conto della gravità di certi atteggiamenti. Bisogna intervenire per contrastare questi fenomeni, cercando ciascuno di erodere alla base quei comportamenti odiosi che spesso registriamo. Ognuno poi può cercare di mettere il suo granellino di sabbia per costruire un modo diverso di vivere e vedere le cose. Io vorrei tanto riunire sul Crescentone di piazza Maggiore a Bologna tutte le persone che negli anni hanno preso parte al nostro progetto. Sarebbero tantissime, e sarebbe una dimostrazione di come si riescano a ottenere grandi risultati, unendo le forze”.