Achille Perego
MILANO
ALTRO

che ripresa. La profonda recessione, la seconda in sei anni, è finita, ma i suoi effetti no. E l’Italia si presenta alle porte del 2014 «con pesanti danni commisurabili solo con quelli di una guerra».
Il nostro Paese «ha subìto un grave arretramento ed è diventato più fragile, anche sul fronte sociale». Con 7,3 milioni di persone a cui, totalmente o parzialmente, manca il lavoro (il doppio di sei anni fa), 1,81 milioni di posti persi dal 2007 e 4,8 milioni di poveri, anch’essi raddoppiati. Sono drammatiche le cifre degli ‘Scenari economici’ del Centro studi di Confindustria presentate mentre in Parlamento si vota la fiducia a una Legge di Stabilità che rappresenta «un’occasione mancata» soprattutto per la mancanza di coraggio nella riduzione del cuneo fiscale. Così la manovra di Letta avrà un impatto sulla crescita «molto piccolo», solo lo 01,-0,2% del Pil nel 2014 e addirittura «restrittivo» nel 2015. Un Prodotto interno lordo che resta asfittico: quest’anno scenderà più del previsto (-1,8% contro una stima di 1,6), l’anno prossimo aumenterà di un modesto 0,7% e dell’1,2% nel 2015. Una crescita non sufficiente a combattere la disoccupazione (che resterà stabile al 12,2-12,3%) anche se «l’emorragia occupazionale» si sta arrestando e nel 2014 ci sarà un aumento dello 0,1% di occupati e dello 0,5% nel 2015.

PERCENTUALI


comunque basse e soggette a una grande incertezza (dalle elezioni politiche all’aumento delle tensioni, con il pericolo del cedimento della tenuta sociale e il montare di proteste che possono incanalarsi verso gruppi politici antisistema) che fa sì che la ripresa «cammini sul filo del rasoio». E se prevalesse lo scenario dei «rischi al ribasso» l’Italia sarebbe costretta a varare una manovra correttiva per un punto di Pil, almeno 15 miliardi.
Per Confindustria parlare di ripresa è un termine improprio e che suona «derisorio» mentre al massimo si può pensare a «una nuova era e di ricostruzione». «In questo momento — avverte il presidente di Confindustria Giorgio Squinzi — non si può dire che la recessione sia finita e che ci sia la ripresa. Vedo molto ottimismo ma l’arresto della caduta del Pil in un trimestre non può essere interpretato come un segnale di decisa ripartenza».
Insomma, dopo aver perso 9,1 punti di Pil dal 2007 abbiamo toccato il fondo ma la ripresa va «conquistata facendo le riforme e le cose giuste». Quelle che chiede Confindustria e che non ci sono nella Legge di Stabilità, «un’occasione praticamente persa». Gli industriali, replica Squinzi a Letta, «non hanno chiesto di sfasciare i conti pubblici» né hanno l’obiettivo di sfasciare il Paese. Chiedono invece che di fronte alla «piega drammatica» assunta dall’Italia, la politica recepisca il messaggio dicendo basta ai tatticismi (a partire dalle riforme istituzionali) e agendo con rapidità, coraggio e decisione.

PERCHÉ



«la nostra sopravvivenza come grande Paese industriale è ancora a rischio», ogni giorno perso fa morire le imprese e non c’è nessun Paese «le cui lancette dell’economia siano tornate così indietro nel tempo a causa della crisi». E se l’Italia non reagisce, come sta facendo la politica, il nostro Pil tornerà ai valori pre crisi solo nel 2021.