ROMA
VA IN SCENA
l’ultimo scontro sui tagli. A monopolizzare l’attenzione il capitolo sanità, tradizionalmente considerato un bancomat per le casse dello Stato. Per scongiurare le sforbiciate previste in alcune bozze scende in campo — al fianco dei governatori delle regioni — il ministro della Salute Lorenzin. Un intervento a piedi uniti — cui si accoda il Pd — che crea problemi al governo al lavoro per ridurne l’entità e trovare soluzioni alternative. Di qui, la reazione irritata di Palazzo Chigi: «Non date peso alle indiscrezioni, la Legge di stabilità è un cantiere aperto». Lo sarà fino a stasera, quando il Consiglio dei ministri darà il via libera ad un provvedimento «non blindato» ma aperto ai suggerimenti del Parlamento. Assicura Letta: «Sarà una manovra equa ed equilibrata». Intanto, ottiene il disco verde da Napolitano cui illustra in mattinata, assieme al ministro dell’Economia Saccomanni, il provvedimento. Dal Colle arriva apprezzamento per le importanti novità contenute nell’approccio ai problemi della politica economica e finanziaria.

PURTROPPO

, si lamenta il premier, a guastare «l’ultimo miglio» le anticipazioni che complicano la stesura del provvedimento, diffondendo dati «errati» che alimentano levate di scudi di partiti, parti sociali e ministri. Bastano alcune bozze «che non sono il testo per il Cdm» — precisa una nota del Tesoro — a far lanciare l’allerta alla Lorenzin: «Il sistema sanitario nazionale non regge più, non può sopportare altri tagli se si vogliono mantenere certi standard». La colomba Pdl diventa falco anche per motivi interni al partito: non può apparire troppo morbida nelle funzioni di governo senza finire sotto il fuoco dei lealisti. Le sue parole costringono il Pd ad uscire allo scoperto: da Epifani a Cuperlo, tutti esprimono preoccupazione. Ma lo sdegno è diffuso in ogni settore del Palazzo. Capitolo doloroso, la sanità, anche se non l’unico. Il Pdl insiste perché non ci sia un aumento del peso fiscale mentre le parti sociali premono affinché la manovra preveda una «consistente riduzione» della pressione fiscale sul lavoro: l’ipotesi di un taglio di 5 miliardi è insufficiente per i sindacati, Cgil di Camusso in testa. Nè Confindustria è da meno: «Servono almeno 10 miliardi», rilancia il presidente Squinzi. E implora: «Dateci un paese normale».
I lettiani sono sicuri: il governo lavora in quel senso. Il premier chiosa: «I conti sono in ordine, facciamo una manovra improntata alla crescita; finalmente dobbiamo decidere come investire: oltre a dare certezze a imprese e lavoratori per tre anni, verrà confermato che il debito scende, che il deficit scende e proprio in questo momento l’Italia è credibile per chiedere provvedimenti per la crescita». Questa volta — il ragionamento — la legge di stabilità la scrive il governo «e non Bruxelles».
Antonella Coppari