Corrado Piffanelli
Paolo Rossi, sono passati 31 anni dalla tripletta al Brasile, c’è una cosa che forse non ha raccontato mai?
«Difficile dirlo. Il mondo è come se si fosse fermato a quella data: ovunque vada e chiunque incontri, sono sempre quello di Italia-Brasile 3-2. Abbiamo anche vinto il mondiale dopo, ma l’orologio di tutti è rimasto fermo a quel 5 luglio 1982».
Quando tutto sembrava dover succedere tranne quello che poi è stato...
«Neanche il miglior regista avrebbe potuto scrivere una storia così bella: stavo passando il mio momento peggiore, stavo toccando il fondo. Sentivo la voglia di lottare contro la sfortuna, le ingiustizie: quell’occasione per ripartire venne in quella partita che ha cambiato per sempre la mia vita».
Quasi un messaggio oggi all’Italia in difficoltà come paese: l’occasione per ripartire arriva...
«Se è successo a me allora, è la prova che davvero tutto può succedere. Avevo giocato 4 partite senza fare mai un gol, avevo difficoltà a tornare in condizione, tutti mi aspettavano come il salvatore della patria e sentivo il peso e la frustrazione di non riuscire a fare nulla, ma proprio nulla».
La svolta?
«Ho avuto solo una fortuna: ho trovato un ambiente eccezionale, Bearzot è stato fondamentale e se non avessi avuto come allenatore uno come lui non sarei mai riuscito a ripartite. Lui aveva una grande fiducia in me, mi aveva già portato in Argentina, e contro tutto e tutti era convinto che prima o poi gli avrei restituito tutto. Lo tiravano per la giacca da tutte le parti perchè cambiasse, ma era fatto così: andava dritto per la sua strada, uomo di una volta in tutti i sensi».
Cosa le disse dopo la partita?
«Questo è un aneddoto carino. Io pensavo mi facesse i complimenti. Invece nello spogliatoio nulla. Sul pullman nel ritorno dallo stadio venne finalmente a sedersi di fianco a me. Pensai che era arrivato il momento dei complimenti. Invece nulla: mi disse soltanto di prepararmi bene perchè avrei giocato ancora. Nelle difficoltà lui ti difendeva alla morte, ma nei momenti felici non aggiungeva una parola. Non ce n’era bisogno».
Sono passati oltre trent’anni eppure...
«Eppure ho la sensazione che quella partita loro non l’abbiano ancora digerita. Uno choc come il cavallo che rifiuta l’ostacolo».
Si riferisce a Zico?
«Sì, l’ho rivisto e non ne abbiamo nemmeno parlato: lui lo sa che se avessimo giocato anche cento volte avremmo vinto altrettante. Spero di andare in Brasile e di offrirgli una cena per rincuorarlo. Magari dopo tanto tempo gli passa...».
Cosa regalò al proposito ai compagni dopo i tre gol?
«Oh erano altri tempi, mica quelli di adesso: alla Juve allora guadagnavo 36 milioni di vecchie lire l’anno. Ero anche convinto che in realtà il regalo fossero i tre gol e basta».
Dei suoi ex avversari è rimasto amico con qualcuno?
«Con Falcao: abbiamo amicizie comuni e siamo in contatto».
Quando andrà in Brasile a giugno stia attento ai taxisti...
«Spero che non vogliano lasciarmi a piedi come l’altra volta: sembra un racconto, invece è la verità, dovetti darmi da fare per convincerlo a passare sopra a quei tre gol».
Quando tornerà un’impresa simile?
«E’ stata una delle imprese epiche, come Italia-Germania del ’70. Le storie del calcio sono imprevedibili, quando meno te l’aspetti succede tutto. A me è successo a 26 anni, questa Italia giovane ha tanto tempo per mandarmi definitivamente nel dimenticatoio».
E far ripartire quell’orologio fermo dall’82.