Lunedì 29 Aprile 2024

Pd, ultima offerta di Renzi a Bersani. "Primarie aperte e niente scissione"

L’ex segretario: "Se Matteo forza addio Pd, nascerà un nuovo Ulivo"

Pier Luigi Bersani e Matteo Renzi (Imagoeconomica)

Pier Luigi Bersani e Matteo Renzi (Imagoeconomica)

Roma, 2 febbraio 2017 - «VA BENE, Lorenzo (Guerini, ndr). Va bene, Matteo (Orfini, ndr): mi avete convinto» – sospira Matteo Renzi nella war room convocata in via permanente al Nazareno. «Io temo che Pier Luigi (Bersani, ndr) non farà altro che alzare il prezzo, proprio come fa ora Grillo sulla legge elettorale. Lui e i suoi chiederanno, come l’M5S, di togliere i capilista bloccati e poi andranno avanti all’infinito, dicendo sempre ‘più uno’, pur di non farci votare: nessuno di loro vuole le urne». Ma se non si vota, allora il Pd dovrà davvero trovarsi un altro segretario», si sfoga l’ex premier, «perché qui non è in gioco il mio futuro, ma quello dell’Italia». «Comunque – prosegue – volete fare un tentativo? Fatelo. Offrite a Bersani le primarie, vediamo cosa ci dice».

A smuovere Renzi è l’intevista che Pier Luigi Bersani rilascia all’Huffington Post: «Se Renzi forza, rifiutando il congresso e qualsiasi altra forma di confronto e contendibilità di linea politica e leadership per andare al voto, è finito il Pd. E allora non nasce la ‘Cosa 3’, il partito di D’Alema, Bersani o altri, ma un soggetto ulivista, largo, plurale, democratico». Parole dure, che pesano come pietre. A occhi innocenti, è l’annuncio dell’ennesima spaccatura nel Pd e fatta dall’ex segretario che il popolo del Pd ancora ama. La verità è che Bersani non ha ancora detto, come ha già fatto D’Alema, «il dado è tratto». Cerca, ancora, una via d’uscita dentro il Pd. Ma che non sia, certo, quei «dieci capilista bloccati» che avrebbe offerto Renzi a Roberto Speranza, il pupillo di Bersani. Posti che i suoi colonnelli hanno definito ieri, in un pranzo drammatico, «un piatto di lenticchie». Ecco perché – hanno detto a Pier Luigi Zoggia, Leva, Stumpo e Speranza – «noi così non reggiamo più, fai e dì qualcosa, oppure ce ne andiamo con D’Alema. Anche senza di te». 

Ed ecco che Bersani sembra sparare alto, ma poi centra il bersaglio e neppure nel tipico, criptico, bersanese, al netto delle sue metafore. Infatti, il passaggio cruciale non è quello in cui paventa la scissione dal Pd in senso ulivista – peraltro, tutti i veri ulivisti doc da Arturo Parisi a Rosy Bindi si taglierebbero un braccio piuttosto che finire con D’Alema – ma questo: «Per anticipare il congresso servono le dimissioni del segretario, ma evidentemente qualcuno (Renzi, ndr) non si vuole dimettere», sferza Bersani: «Chiamalo come vuoi, congresso, primarie, ma un luogo di confronto e contendibilità io lo chiedo e, per l’amor di Dio, non mi si parli di Statuto o di cavilli».  Ecco, è questo il segnale che i due mediatori renziani del Pd (Orfini e Guerini, appunto) aspettavano. mentre da giorni si inseguivano le voci su un faccia a faccia tra Renzi e Bersani per un «chiarimento».

VOCI infondate: i due non si parlano, il gelo è una coltre, Renzi non vorrebbe trattare su nulla con lui e i suoi devono farlo al suo posto. Ma Bersani non è D’Alema – i due non si amano da anni – e non ha neppure tutta questa voglia di andarsene da «casa mia», come dice, anche se alcuni dei colonnelli bersaniani stanno per mollare gli ormeggi e andarsene con D’Alema: Danilo Leva sta costruendo la formazione dalemiana ‘Consenso’ in Molise, Davide Zoggia in Veneto, Gotor sa che non sarà ricandidato.  Ma i due uomini che, nel Pd, contano pure agli occhi di Renzi e godono di raffinate abilità da mediatori (il vicesegretario Guerini e il presidente Orfini) sanno che «Bersani va tenuto dentro, lui è un simbolo». E, infatti, si attivano subito: il primo, Guerini, si fa intervistare dal Tg3, Orfini si fionda negli studi del talk show di Bianca Berlinguer per offrire il ramoscello di pace. «Se ci sarà un’accelerazione sul voto – dice Orfini – non faremo in tempo a fare il congresso («Si farà nei tempi stabiliti», tiene il punto Guerini, ndr), ma si può trovare il modo di fare le primarie prima dellle elezioni». Sembra fatta.

RENZI potrebbe annunciare, già nella Direzione del 13 febbraio, che la strada per cambiare la legge elettorale se non è un’autostrada, «è una strada aperta» e, dall’altro, le primarie aperte.  Primarie aperte vuol dire allargare a tutto il «campo» progressista. I candidati saranno, probabilmente, tre: Giuliano Pisapia per l’area dei sindaci arancioni (Zedda, Doria, ma anche Merola), Michele Emiliano – che non vuol finire neppure lui con D’Alema – per l’area di Bersani e anche per altre. Il terzo, ovviamente, sarà il segretario, Matteo Renzi, a nome del Pd. Sempre che, ovviamente, ci siano elezioni politiche anticipate a giugno. Primarie, dunque, per un Pd che tornerebbe nuovamente «scalabile, contendibile» proprio come fu nella sfida tra Bersani e Renzi.