Giovedì 16 Maggio 2024
PIERFRANCESCO DE ROBERTIS
Politica

Giorgio Napolitano, da via delle Botteghe Oscure al Quirinale. Tutte le prime volte di un ex comunista

La nomina di Ciampi a senatore a vita lo lanciò verso il Colle. Fu ‘Re Giorgio’ in un periodo di emergenza per il Paese. Perfino Berlusconi gli chiese di disfare gli scatoloni dopo il primo mandato

Giorgio Napolitano, presidente della Repubblica dal 2006 al 2015 (Pruccioli)

Giorgio Napolitano, presidente della Repubblica dal 2006 al 2015 (Pruccioli)

Roma, 19 settembre 2023 – Per bene comprendere l’eccezionalità della figura di Napolitano basta osservare il numero di ‘prime volte’ messe in fila da ‘Re Giorgio’ nel corso della sua lunghissima militanza politica e istituzionale: primo dirigente comunista a ricevere un visto per gli Stati Uniti nel 1978, primo ministro dell’Interno poi primo presidente della Camera e infine primo presidente della Repubblica proveniente dall’ex Pci, poi primo presidente della Repubblica a essere rieletto per un secondo mandato. Una carriera infinita e piena di successi, che però fino alla settimana precedente la sua salita al Colle, nel maggio 2006, era scorsa secondo il copione del personaggio solido, colto, dall’inglese fluente e gli abiti dal taglio anglosassone, ma tutto sommato privo di squilli. Diverso dal cliché del comunista classico post-guerra fredda, estraneo all’apparato del gotha rosso delle Frattocchie e così poco somigliante al suo mondo di provenienza, intriso da quel milieu di intellettualità napoletana di stampo amendoliano, quindi liberale, che gli avevano fatto amare il teatro e la letteratura prima che i testi di Marx e Lenin. Napolitano ha così vissuto a lungo nelle stanze che contano a Botteghe oscure senza correre neppure una volta il rischio di occupare la carica più prestigiosa, quella di segretario, eterno cardinale mai papabile, immancabilmente preferito al momento decisivo ai veri big del partito più ortodossi di lui. Non che Napolitano big non lo fosse, certo era anche l’anima di quella corrente detta “migliorista” che nel Pci veniva tollerata più che amata, “male necessario” e pegno da pagare per essere il maggior partito comunista dell’Occidente. Ma a ben guardare fu proprio questa sua ‘anomalia’ a spalancargli le porte del sancta santorum istituzionale, prima il Viminale poi il Quirinale.

Quando si capì che era arrivato il momento di un ex comunista, quell’ex comunista non poteva che essere lui. Un’elezione in qualche modo preconizzata da un altro inquilino del Colle, Carlo Azeglio Ciampi, che nel 2005 quando lo nominò senatore a vita offrendogli di nuovo un seggio parlamentare lasciato l’anno prima a Bruxelles dove Napolitano svolgeva il suo secondo mandato da eurodeputato. In tanti si erano quasi dimenticati di quell’anziano dirigente comunista che ormai andava tutte le mattine a passeggiare indisturbato a villa Borghese con la moglie Clio, che a ottanta anni suonati pensava più a quello che aveva fatto che a ciò che gli restava da fare. Nel ricordo del ruolo ricoperto all’interno della sinistra europea, per la quale aveva sempre rappresentato l’anello mancante, il punto di collegamento indispensabile con quella parte del mondo che era dall’altra parte, ma del quale comunque facevamo parte. Una funzione che anche da presidente egli ha più volte esercitato, basti pensare a quanto ha contato il suo parere nella partecipazione italiana agli ultimi conflitti nel Mediterraneo (pensiamo alla Libia nel 2011) sempre dalla parte dell’Occidente. O al famoso viaggio-lampo che Napolitano effettuò a Washington per un incontro a quattr’occhi con Obama, incontro di cui anche il governo dell’epoca (Berlusconi) seppe pochissimo. In ogni caso “un gigante del pensiero” come lo apostrofò Nancy Pelosi in una delle sue frequenti visite romane, che ha segnato un’epoca e ha contraddistinto i primi anni di vita della seconda repubblica. Nel tempo è stata così marcata la sua presenza che l’appellativo di “Re Giorgio” appariva un naturale riconoscimento a un qualcosa di reale, quasi che tutti sapessero e avessero accettato che al Quirinale sedeva non un presidente della Repubblica ma una sorta di sovrano laico, lascito fuori tempo di un’emergenza che non voleva passare, di cui comunque in tanti avvertivano il bisogno. Tant’è che quando nel 2013 il parlamento si trovò nell’impasse per eleggere il suo successore, tutti i leader salirono al Quirinale per chiedergli di disfare gli scatoloni, anche coloro (tipo Berlusconi) che lo avevano criticato e avrebbero poi continuato a criticarlo per i fatti del 2011. Napolitano ha come compreso la situazione di vuoto e si è sempre preso il suo spazio, e secondo alcuni anche quello che non era suo. Le polemiche seguite alle scelte che hanno propiziato e poi seguito la caduta del governo Berlusconi e la nascita dell’esecutivo Monti nel 2011 sono tuttora tirate in ballo con la spiacevole parola di “complotto” che, al di là di una esatta ricostruzione dei fatti di cui sarà la Storia a dire l’ultima parola, fanno emergere il ritratto di un politico che ha coniugato il proprio ruolo con l’idea di un interventismo tangibile, sia visibile sia invisibile. Dieci anni di potere quasi assoluto, per quanto l’articolo 92 della Costituzione lo potesse permettere, nel quale ‘Re Giorgio’ ha fatto sentire pesantemente la sua voce nella formazione dei governi, nella selezione dei ministri, nelle nomine, nelle scelte di politica estera. Prima di lui, mai nessun presidente della repubblica si era spinto a tanto, chi è venuto dopo di lui non l’ha imitato. Sempre in un’ottica di grande respiro internazionale, solidamente atlantista ed europeista, e sempre con lo sguardo rivolto in alto e in avanti, ha guidato l’Italia in un momento difficile e probabilmente, almeno per quello che era in suo potere, l’ha lasciata meglio di come l’ha trovata. Comunque si giudichi la sua figura, uno dei Grandi vecchi della Repubblica.