Martedì 30 Aprile 2024

Elezioni amministrative 2016, Renzi in affanno. I fedelissimi: disastro inaspettato

Tensione al Nazareno, Guerini: ce la giocheremo. Bersani preoccupato

Matteo Renzi (Ansa)

Matteo Renzi (Ansa)

Roma, 6 giugno 2016 -  Le amministrative  sono andate non male, ma malissimo, per il Pd. «È un disastro» è il primo commento che, davanti ai primi exit poll e poi, via via che le proiezioni si stabilizzano, arriva dai dem riuniti con ‘Matteo’ al terzo piano del Nazareno. A un certo punto della lunga serata, è circa l’una e mezza di notte, qualcuno deve però pur prendere il coraggio a due mani. Lorenzo Guerini scende nella sala stampa allestita al piano nobile (il quarto) del Nazareno, sospira, e dice: «Vediamo delle situazioni positive, come a Milano dove Sala è in testa saldamente, a Torino e a Bologna. A Roma stiamo seguendo la situazione, specie le operazioni di spoglio, ma venivamo da anni difficili, la giunta Marino e le inchieste hanno pesato, attendiamo con fiducia. Anche a Napoli abbiamo la contezza delle difficoltà di partenza e la difficoltà di andare al ballottaggio, attendiamo dati consolidati».

Insomma, il vicesegretario dem, detto il ‘Forlani’ di Matteo Renzi, è sempre lui: sa arrampicarsi sugli specchi, dice una ‘guerinata’, ma la sostanza è sotto gli occhi di tutti. Il Pd è diventato, ormai, il secondo partito in due città come Roma e Torino, a discapito del M5S (che, già dal 2013, lo è alla Camera) che canta vittoria – giustamente – e che già attacca il Pd e Renzi alla giugulare («Nel Pd si scatenerà l’inferno, sarà un Vietnam» è la fin troppo facile previsione del membro del Direttorio Di Maio).

INVECE il centrodestra, che sembrava morto, è tornato competitivo a Milano e Roma: entrambi obbligano il Pd a ballottaggi ovunque. Senza dire che i candidati voluti (o imposti, come a Milano) da Renzi o Orfini si sono rivelati dei flop pazzeschi, enormi, terribili: Sala è crollato a Milano, Parisi è a un soffio; la Valente è fuori da tutti i giochi a Napoli; Giachetti vive un drammatico testa a testa a Roma contro Meloni che coi voti di Marchini l’avrebbe bruciato; Fassino non riesce a tenere lontano da sé l’outisder M5S a Torino; anche Merola prende meno voti del dovuto nella rossa Bologna. Quali saranno i contraccolpi, dentro il Pd e dentro il governo?

Troppo presto per dirlo. La minoranza, per ora, resta muta, come pure restano muti – ma per angoscia e disperazione – i renziani di solito sempre così ciarlieri. L’ex segretario, Pier Luigi Bersani, si limita a confidare ai suoi che è «molto preoccupato» e invita a «lavorare per i ballottaggi». Un segnale di pace, un ramoscello d’ulivo per una – chimerica? – pax interna, tra maggioranza e minoranza, che però, ove vi fosse, non potrebbe che prevedere cospicue contropartite: magari nel ‘modo’ di affrontare la campagna referendaria, da parte di Renzi, di certo nel ‘modo’ di gestire le grane interne e il futuro congresso del Pd che, a questo punto, di certo verrà anticipato a inizio 2017. E il governo? Subirà ripercussioni?

IL PREMIER ha sempre detto, in tutti questi mesi, settimane e giorni di campagna elettorale, che ‘no’, non ce ne saranno e che lui si giocherà tutto al referendum. Ma potrebbe, anche se solo allora, a ottobre, arrivare il momento più difficile, quello che Matteo Renzi aveva cercato persino di esorcizzare, scherzandoci su, in vista del referendum: «Mi ci vedete a dire a fare come fa di solito Guerini quando scende in sala stampa e magari a dire (e qui ne imita il dialetto lodigiano, ndr.) ‘beh, sì, abbiamo perso, ma mica tanto, eh? E abbiamo anche tenuto, eh? Insomma, ora però c’è da fare le nomine in Rai…’. Maddai, io mica solo lui, io mollo tutto e mi dimetto, vado a casa, lascio la politica e basta!».