Sabato 9 Novembre 2024

Verso le elezioni europee, democrazie alla prova: "Serve una politica comunitaria contro la falsa informazione"

Marina Calloni, ordinaria di Filosofia politica e sociale all’Università di Milano Bicocca: "I partiti non riescono più a costruire il consenso, per questo cedono al populismo"

Roma, 6 maggio 2024 – Mai come quest’anno, con i conflitti e le tensioni internazionali, la democrazia è messa duramente alla prova. Proviamo a orientarci in questo scenario complesso con la professoressa Marina Calloni, ordinaria di Filosofia politica e sociale all’Università di Milano Bicocca.

Marina Calloni, ordinaria di Filosofia politica e sociale all’Università di Milano Bicocca
Marina Calloni, ordinaria di Filosofia politica e sociale all’Università di Milano Bicocca

Che rischi corre l’Europa, considerando anche le imminenti elezioni?

"Con la dissoluzione dell’Urss nel 1991, seguita dieci anni dopo dall’attacco terroristico alle Torri gemelle a New York, assieme all’ordine mondiale fondato sulla deterrenza è venuto radicalmente a cambiare anche il ruolo dell’Europa. Si trova stretta tra guerre a Est e a Sud del Mediterraneo nel nuovo scacchiere mondiale dagli esiti incerti, con l’aumento degli armamenti. Le elezioni significheranno anche il posizionamento che l’Europa unita intende mantenere in un’età di policrisi: pandemica, sociale, economica, ambientale e bellica. Ma il problema è che l’Ue non è ancora un’entità politica, nonostante le sue politiche sociali abbiano un forte impatto sulle nostre vite. È un processo ancora in atto, fatto di avanzamenti e retrocessioni, di cui non si conoscono gli esiti".

A giugno oltre 350 milioni di europei saranno chiamati a votare. Come si formano il consenso e l’opinione politica di una sfera pubblica così grande e diversificata?

"Le elezioni europee prevedono la nomina di rappresentanti nazionali che andranno a comporre il Parlamento secondo raggruppamenti politici trans-nazionali. Eppure, come stiamo verificando in questi giorni, la campagna elettorale sembra avvenire per confermare posizioni di potere nazionale, più che pensare all’Europa che vorremmo. Di fatto, un parlamentare europeo ha un potere di influenza politica ben maggiore di quelli nazionali, poiché vengono decise politiche per milioni di persone. Però molti cittadini non si sentono ancora parte dell’Unione, tanto da usare l’indebita espressione di “andare in Europa”. Non si è purtroppo ancora giunti a una politica comunitaria e unitaria della comunicazione politica, tale da far sentire di fatto gli appartenenti Ue non solo come cittadini del proprio Stato, bensì di un’entità più ampia di cui godiamo per altro i benefici".

In un mondo globalizzato e digitale, che ruolo hanno le nuove tecnologie e i social media? Una comunicazione troppo diretta, senza mediazione professionale, può distorcere la formazione della volontà politica?

"Aumentano i pericoli dell’influenza esterna, tramite fake news e troll convogliati dai social media senza un preventivo controllo da parte di giornalisti professionisti, che devono peraltro attenersi a un codice etico. La struttura dei social tende a trasformare gli elettori in consumatori o tifosi, che cercano comunità online che li rafforzino nelle loro credenze, senza più un confronto costruttivo con chi la pensa diversamente. Aumenta così la rabbia e la costruzione del “nemico politico” da parte di odiatori digitali. Dall’altra parte vi è un crescente astensionismo, tale da indicare disaffezione e sfiducia verso la politica istituzionale".

Chi detiene davvero il controllo della informazione/formazione politica?

"È una domanda molto difficile a cui rispondere. Nell’età delle ideologie, erano soprattutto i partiti che – come associazioni identitarie e fidelizzate di massa – costruivano il discorso politico grazie a dibattiti, mozioni, confronti e accordi. Attualmente i partiti non riescono più a costruire il consenso come in passato, se non in molti casi attraverso proclami populisti in cui si chiede spesso di “credere” nel leader e nella sua capacità decisionale a nome di tutti. Ciò viene ancor più enfatizzato dalla replicazione dei messaggi tramite web. Il problema del controllo e del “capitalismo della sorveglianza” riguarda semmai le grandi corporazioni che gestiscono piattaforme e social media e con essi i nostri dati a fini tanto commerciali, quanto politici. La protezione della privacy diventa tanto più urgente, quanto più le big company non sono regolate".

Quali responsabilità hanno dunque la politica stessa e il mondo della comunicazione? E i cittadini-elettori?

"La politica, soprattutto nelle comunicazioni istituzionali, così come il mondo della comunicazione pubblica, hanno la responsabilità di mettere i cittadini nella condizione di poter formare autonomamente la propria volontà, quando devono scegliere fra programmi elettorali diversi".

La disintermediazione non è solo nell’informazione. Molti auspicano la democrazia deliberativa: volontà del popolo espressa direttamente senza eleggere rappresentanti. Ma funziona davvero o rischia di essere pilotata anch’essa?

"La crisi delle democrazie liberali è senza dubbio dovuta anche alla crisi dei partiti tradizionali che fungevano da mediazione tra cittadini e istituzioni. La rivoluzione di Internet ha indotto molti cambiamenti anche in politica, per cui l’idea di democrazia diretta è stata reinterpretata come processo di voto mediante piattaforme. Tuttavia, l’idea di democrazia deliberativa si distingue nettamente dal concetto di democrazia diretta: ha a che fare con la realtà di sfere pubbliche critiche, dove i cittadini possano esprimere liberamente la propria opinione, producendo discorsi politici su questioni di interesse comune, dove conflitti e accordi danno legittimità normativa alla democrazia. Ma, come ha messo in luce Habermas, i social media sembrano aver messo in pericolo tale processo, per via di spazi sempre più ristretti di libertà, poiché le scelte sono condizionati da pressioni esterne. La libertà illimitata proposta da Internet diventa così un’illusione".