Mercoledì 8 Maggio 2024

Crisi di governo, le tre trappole per rinviare il voto

Inedite alleanze e fughe dall'Aula, così M5S e Pd cercano di allungare la vita dell'esecutivo

Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella (LaPresse)

Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella (LaPresse)

Roma, 11 agosto 2019 - Prima che il leader della Lega Matteo Salvini ottenga le elezioni anticipate ce ne corre. Il premier Giuseppe Conte si deve dimettere, sua sponte o subendo una sfiducia, e il capo dello Stato Sergio Mattarella, verificata l’impossibilità di formare un nuovo governo, sciogliere le Camere e indire la data delle urne. Ma se nascesse un ‘governissimo’, o banalmente un altro esecutivo – cosa non facile – Salvini non otterrebbe le urne. Politicamente, però, l’impresa è ardua. Ecco perché gli strateghi di Movimento 5 Stelle e renziani (ma solo loro) del Pd, le stanno studiando tutte, a partire da tre ‘trappoloni’ regolamentari. Vediamoli.

Premessa. Domani sarà la prima giornata davvero ‘calda’ di una crisi di governo nei fatti, ma non formalizzata. Alle 16 c’è la riunione della conferenza dei capigruppo per decidere la data della sfiducia al governo Conte. Lì dentro si faranno tutti giochi veri e non solo perché la data della convocazione di Conte al Senato (il 19 agosto?) non è affatto indifferente per decidere le sorti della legislatura.

La conferenza dei capigruppo funziona così: se c’è accordo (nemine contradicente, recita il brocardo latino) si può prendere qualsiasi decisione, se non c’è accordo si vota. Lo si fa a maggioranza (il voto è ‘ponderato’ in base ai gruppi) e il parere del presidente è importante, ma non vincolante. Conte ha annunciato di voler tenere "comunicazioni" all’Assemblea, cui seguirà dibattito e, non per forza, un voto, che naturalmente potrebbe essere da lui richiesto. Basta, per sfiduciare Conte o per rinnovargli la fiducia, la maggioranza relativa (cioè, che i sì battano i no), e non, si badi bene, quella assoluta (161 voti su 321). In Aula, però, devono essere presenti (tra votanti, astenuti o presenti non votanti) in 161 (si chiama quorum del plenum, che è di 321).

Ecco il primo ‘trappolone’. Lo propone, in chiaro, l’ex presidente del Senato, Pietro Grasso: "Usciamo tutti dall’Aula". Ma dato che FI e Fd’I, alleati di Salvini, non faranno favori ai suoi avversari, basterebbe che i senatori di M5S (109) e Pd (51) uscissero dall’Aula per far mancare il numero legale: il voto sulla fiducia a Conte sarebbe nullo. Il secondo ‘trappolone’, invece, lo ha architettato Andrea Marcucci, capogruppo dem al Senato, insieme a Dario Parrini, entrambi renziani: "Vogliamo discutere prima la nostra mozione di sfiducia individuale al ministro Salvini, che abbiamo già depositato, e dopo la sfiducia a Conte". Obiettivo non detto ma palese: sfiduciare Salvini, con i voti del Movimento 5 Stelle, e dopo salvare Conte.

"Ma – spiega il costituzionalista Marco Olivetti, docente alla Lumsa di Roma – tra la richiesta di un premier sulla fiducia al suo governo, una mozione di sfiducia al governo e, a maggior ragione, una mozione di sfiducia individuale verso un ministro, il ‘prevalente’ è la richiesta del premier: si discute e, nel caso, si vota, prima quella, poi il resto. E, se passa la sfiducia, le altre mozioni di sfiducia decadono". Il terzo ‘trappolone’ scatterebbe sulla mozione di sfiducia avanzata dal Carroccio, cui si contrapporrà quella dei 5 Stelle, ma qui il Pd dovrebbe votare con i grillini e dare la fiducia a Conte. Impossibile? Nella crisi più pazza d’Italia nulla lo è.