Mercoledì 24 Aprile 2024

Bertinotti: "Non c’è più la sinistra. Meloni? Capace, ma aspetto i fatti"

Lo storico leader di Rifondazione: i dem di fatto sono morti "Il nuovo governo ha l’assetto oligarchico e tecnocratico dell’Europa, in perfetta continuità con quanto fatto dal premier Draghi"

Fausto Bertinotti, 82 anni,

Fausto Bertinotti, 82 anni,

Ma cos’è la destra, cos’è la sinistra, cantava Giorgio Gaber. E oggi cos’è la destra, cos’è la sinistra?

Fausto Bertinotti sorride nostalgico al ricordo di Gaber. Altre stagioni, altra temperie. "Purtroppo per chi è di sinistra, la sinistra politica non c’è più – esordisce senza fronzoli – Il Pd si è annegato nella governabilità e sarebbe preferibile che si autosciogliesse. La destra, invece, si potrà definire meglio nella concreta esperienza di governo. Di certo Giorgia Meloni, con la scelta dell’atlantismo e della continuità delle politiche economiche di Draghi, si colloca perfettamente nel solco dell’assetto oligarchico-tecnocratico di questa Europa".

La sinistra politica, dunque, è morta.

"Le elezioni hanno verificato quello che era un dato acquisito. La sinistra politica è scomparsa, fagocitata da un assetto moderato, il centrosinistra di prodiana fonte, nel quale si è operata una trasmigrazione di campo, passando dalla difesa degli interessi popolari, attraverso il paradigma della governabilità, al governo degli interessi generali del sistema economico e sociale".

Restano partiti che si dichiarano di sinistra, ma sono senza più popolo.

"Thomas Eliot dice che nei momenti di crisi nei quali si svuotano le chiese dobbiamo domandarci se è la Chiesa ad aver abbandonato il popolo o è il popolo che ha abbandonato la Chiesa. Ebbene, parafrasando la sua formula, penso che sia la sinistra ad avere abbandonato il popolo, che si è disunito".

Il Pd, in questo contesto, non ha chance di resurrezione?

"Il Pd si è annegato nella governabilità che ha formato una costituzione materiale, un assetto dei gruppi dirigenti e un modo di essere che lo rende irriformabile. E per questo non penso che sia un j’accuse quello di suggerire al Pd l’autoscioglimento, bensì l’indicazione di una possibile risalita per la sinistra".

Basta per la rifondazione della sinistra?

"Certo che no. La priorità è la ricollocazione nel conflitto sociale che vuol dire almeno due cose: stare dentro il conflitto dovunque si produca (sul terreno economico e sociale, sulla pace e la guerra, a partire dalle prossime manifestazioni, sui diritti personali). È quello che è accaduto in Europa: il grande successo di Melénchon non ci sarebbe stato senza le lotte degli studenti, gli scioperi generali sulle pensioni, il movimento dei gilet gialli".

I 5 Stelle, nella versione contiana, non c’entrano con la crisi del Pd? Non sono, forse, la nuova frontiera della sinistra?

"No. Guai a prendere lucciole per lanterne. La crisi del Pd si è consumata con il popolo non con le altre forze politiche. Conte, invece, rappresenta e organizza una forza che ha una sua propria fisionomia trasversale di origine populista che si caratterizzata oggi sul terreno della rappresentanza sociale di interessi giustamente da difendere. Ma questo non candida i grillini a essere una nuova forza di sinistra e non mi pare che Conte si dichiari di sinistra".

Arriviamo alla destra: vince, ma che cosa è?

"La destra vince qui e ora anche per la rendita derivante dall’assenza della sinistra. E il successo elettorale la legittima totalmente come forza di governo. Ma per sapere che destra sarà dovremo attendere che si definisca sulla scorta dell’esperienza di governo. Al momento dice di non essere più fascista. Liberale non lo è mai stata. Le suggestioni venute dall’estero, da Trump, dalla Le Pen, da Orban sono solo suggestioni piuttosto che proposte di modelli".

La destra è oggi soprattutto Giorgia Meloni: che giudizio ha di lei?

"È un profilo a cui ho cercato di sottrarmi, ma se devo dire se è intelligente, certo lo è, se devo dire se è capace, certo che è capace. Francamente, però, mi sembrano condizioni preliminari per governare, ma non è da questo che si rivelerà il suo profilo futuro. Ma da come affronterà il governo. E, comunque, è un altro segno dei tempi che lei mi chieda della Meloni e non di Fratelli d’Italia: perché vuol dire che siamo costretti a passare dalla cruna dell’ago di interpretare una soggettività politica non dall’impostazione del partito, ma dalla personalità della leader".

Sotto questo profilo che cosa si aspetta dal suo governo?

"Io penso che la Meloni punti a realizzare due cambiamenti significativi nella realtà italiana che a me appaiono come controriforme. Mi pare che la Meloni voglia proporre un profilo dell’Italia per il futuro a-fascista: nel senso che tenda a sbarazzarsi della questione Fascismo non rimanendo nel campo del neofascismo, ma neanche approdando a quello dell’antifascismo. Definendo, invece, una sorta di limbo entro cui far incamminare l’Italia: se si pensa che la Costituzione è nata dall’antifascismo la novità o la regressione non sono irrilevanti. In secondo luogo, sempre sul piano costituzionale, è la tendenza che vedo verso un presidenzialismo di fatto attraverso il ruolo del premier".

Ci sono, però, anche scelte più immediate: la politica estera, quella economica.

"Beh, il suo conservatorismo è acclarato sul piano programmatico. Ha scelto l’atlantismo e la continuità della politica economica e sociale del governo Draghi".

La Meloni erede di Draghi?

"Mi pare che abbia collocato il suo governo nell’ambito dell’assetto oligarchico e tecnocratico di questa Europa, in perfetta continuità con Draghi. Insomma, si presenta in Europa con gli abiti del suo predecessore".