Mercoledì 24 Aprile 2024

Zweig e quel grido di dolore per l’Europa

Le lettere dal Brasile, l’isolamento e lo sconforto per il Vecchio Continente dilaniato dalla guerra. Ottant’anni fa il suicidio dello scrittore con la moglie

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di Lorenzo Guadagnucci

"Suo cognato e sua sorella erano rimasti esattamente gli stessi nel loro ultimo riposo; sembravano persino quasi allegri. Lui era sdraiato sulla schiena, lei sul fianco destro con il braccio sinistro intorno a lui": così Ernst Feder, giornalista tedesco espatriato in Brasile e amico di Stefan Zweig e Lotte Altmann, descrisse al fratello della donna la scena che si presentò a conoscenti e cronisti giunti nella casa degli Zweig a Petrópolis, la città poco lontano da Rio de Janeiro dove il famoso scrittore austriaco, ormai cittadino britannico e in fuga dal nazismo e dalla guerra, era infine approdato con la seconda moglie. Il suicidio di Stefan e Lotte, ottant’anni fa, il 22 febbraio 1942, scosse profondamente ciò che restava del mondo intellettuale europeo, ormai disperso fra il Vecchio continente e il Nuovo mondo. Zweig aveva sessant’anni, Lotte – sua ex segretaria – solo 34: la loro fine sembrò l’esito estremo di una sconfitta totale, con la cultura che soccombeva sotto i colpi del nazionalismo e dei fascismi; la fine di una certa idea di Europa.

Stefan e Lotte erano arrivati in Brasile l’anno prima, dopo avere abbandonato l’Europa ormai in fiamme: entrambi ebrei, si erano sposati in Inghilterra. Avevano avviato le pratiche matrimoniali in un giorno fatidico: erano al municipio di Bath, la cittadina dove abitavano, alle prese con i moduli della burocrazia, quando entrò in ufficio un messo con la notizia ferale: la Germania aveva invaso la Polonia, era il 1° settembre 1939. Lo raccontò lo stesso Zweig in un libro divenuto famoso, ma che non fece in tempo a vedere stampato: Il mondo di ieri, un’autobiografia divenuta un classico della storia culturale europea della prima metà del ‘900.

In America Latina Stefan Zweig era stato accolto già nel 1936 come una celebrità, quale era: i teatri pieni, gli incontri con i maggiori intellettuali e le massime autorità in Argentina come in Brasile, dove alla fine decise di fermarsi a partire dal ‘41, dopo un soggiorno a New York. Zweig aveva alle spalle un’intensa attività di scrittore: famose le sue biografie di personaggi storici, da Maria Stuarda a Fouché, da Maria Antonietta a Erasmo, e così i romanzi, le novelle, le opere teatrali; era letto e tradotto in tutto il mondo.

Esponente dell’alta borghesia asburgica, fu uno dei maggiori intellettuali europei del primo Novecento, schierato su posizioni pacifiste e internazionaliste, precursore di un europeismo che sarebbe maturato solo a guerra finita. Aveva il culto dell’amicizia: legò, fra gli altri, con Rainer Maria Rilke, Klaus Mann, Romain Rolland. Conobbe il vecchio Sigmund Freud e con lui conversò nell’esilio inglese sulla natura dell’hitlerismo, nel quale il fondatore della psicanalisi vedeva la conferma di una sua idea di fondo: "Essere cioè indistruttibile nell’animo umano – sintetizzò Zweig – l’elemento barbarico e l’istinto elementare dell’annientamento".

I coniugi Zweig furono accolti in Brasile con affetto ricambiato: per Stefan era "il Paese del futuro"; a Petrópolis i due sposi conducevano quasi una vita di villeggiatura. Frequentavano i coniugi Feder e pochi altri, in un clima di apparente serenità. Ma gli animi di Stefan e Lotte erano profondamente segnati. Le loro lettere a familiari e amici – da poco pubblicate da Castelvecchi col titolo La vita stessa è già tanto in questi giorni – testimoniano il senso di isolamento e la depressione che solo in parte riuscirono a nascondere.

Stefan aveva perso tutto il suo mondo: gli amici, i libri, la sua stessa lingua, ormai fuori gioco nel mondo editoriale con l’Austria e la Germania in guerra contro il resto del mondo. Tutto ciò rappresentava per lui una ferita dolorosissima: già al tempo della Grande Guerra riteneva "di avere già troppo a lungo vissuto da cosmopolita per poter da un’ora all’altra odiare tutto un mondo che mi era caro quanto la mia patria".

Il giorno prima del suicidio, Lotte scrisse alla cognata Hannah: "Andandomene così, il mio unico desiderio è che tu possa credere che questa è la cosa migliore per Stefan, patendo come ha fatto lui in tutti questi anni al fianco di coloro che soffrono per la dominazione nazista e per me, sempre malata di asma". E Stefan, nella lettera d’addio ai cognati: "Abbiamo amato moltissimo questo Paese, ma si è trattato sempre di una vita precaria, lontano dalla nostra casa, dai nostri amici; per me che ho sessant’anni l’idea di dover attendere ancora per anni, in questi tempi tanto terribili, è diventata insopportabile".

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