Andrea
Martini
A un anno di distanza da un’edizione sostanzialmente riuscita nonostante le ondate del Covid, la 78ª Mostra si presenta già ferrata nell’esercizio dell’emergenza. L’appuntamento del 1° settembre coglierà il pubblico delle sale in uno stato di disagio, se non confusionale, causa green pass e non solo. È ancora più importante quindi che l’esito di Venezia costituisca una spinta a superare le diffidenze e le difficoltà facilmente prevedibili per il prossimo autunno.
A prima vista il programma sembra adatto a esaltare il Festival che può ben sfruttare un’edizione cannense contradditoria. I punti più forti della selezione che s’allarga a 21 titoli, sono alcuni grandi film attesi come “Madres Paralelas“ come opera d’autore e “Dune“ come pellicola autorevolmente spettacolare. La presenza di registi come il cileno Larraín, l’australiana Jane Campion, l’americano Paul Schrader, i francesi Giannoli e Bizé rafforza la reputazione della Mostra come vetrina che s’affida alla qualità e non intende troppo rischiare. (L’esempio della Palma contrastata di Cannes porta consiglio).
La pattuglia italiana che dispiega 5 titoli non può essere giudicata a priori per la numerosità: alla fine si potrà parlare di risveglio del cinema nazionale o di generosità sciovinistica. La contemporanea presenza di Martone e Sorrentino fa pensare alla prima ipotesi. La presenza della vecchia promessa, risorta da lungo silenzio, Frammartino e dei supelodati fratelli D’Innocenzo non incrinano la doverosa apertura di credito, più a rischio casomai quella di Gabriele Mainetti, autore disuguale.
Rassicura trovare cinque firme femminili in Concorso perché sulla carta sembrano proprio essere presenti per valori espresso non per quote.
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