Venerdì 10 Maggio 2024
MARINA TERRAGNI
Magazine

Stonewall, 50 anni dopo. I gay? Sono diventati misogini

New York celebra i moti di Stonewall, ma negli Usa sale il disagio per la cultura Lgbtq

Un momento del 'Gay Pride' di San Paolo, in Brasile (LaPresse)

Un momento del 'Gay Pride' di San Paolo, in Brasile (LaPresse)

Roma, 28 giugno 2019 - "Big little lies" è una delle più belle serie degli ultimi anni. La protagonista Madeline vorrebbe che la figlia Abigail si iscrivesse al college, ma Abi non ne vuole sapere: "Tutto quello che fanno al college" si ribella "è fumare, scopare e rimuginare sul cambio di sesso". Certe serie fotografano bene la realtà americana: nella subcultura giovanile il cambio di sesso è l’apice della libertà. Gli ormoni – meglio se autoprodotti – e il queer stanno alla generazione Z come l’Lsd stava alla Beat Generation. Ma ogni fenomeno, raggiunto il climax, genera fatalmente i suoi anticorpi: di questa roba "da college" Abi non ne vuole sapere. Sostiene Amnesty International, le interessano i progetti collettivi e non le peripezie libertaristiche individuali.

Abi rappresenta bene quel 55 per cento di giovani americani (18-34 anni) che oggi dichiara disagio nei confronti delle persone e della cultura Lgbtq. Disagio crescente, a quanto pare: nel 2016 riguardava il 37 per cento dei giovani, nel 2017 il 47 per cento, oggi siamo al 55. Lo rileva con preoccupazione l’Accelerating Acceptance Index del Glaad, organizzazione no-profit Lgbtq, che parla di "momento tossico" e attribuisce la caduta del tasso di tolleranza alla narrazione trumpiana e alla rivolta contro il politicamente corretto amplificata dall’hate speech dei social. Sorprendente che le più numerose nella zona di disagio siano proprio le ragazze come Abi. Eppure le donne sono sempre state le più accettanti, amichevoli e protettive nei confronti delle persone Lgbtq. Un maternage sociologico, lo chiama Mattia Morretta nel suo recente saggio Questo matrimonio non s’ha da fare. Qualcosa in questa relazione non sta più funzionando: che cosa?

Marina Terragni
Marina Terragni

Tante oggi si sentono tradite dai fratelli gay che nel loro percorso di normalizzazion-omologazione hanno abbandonato ogni tratto femminile per aderire al modello della virilità etero. Misoginia compresa. "Noi gay dobbiamo cominciare a prendere coscienza di avere un problema di misoginia" ha scritto Jamie Tabberer in un discusso editoriale sul quotidiano britannico The Independent, spiegando che oggi la comunità gay è ossessionata dall’apparenza maschile e "femminilità è ritenuta una parolaccia". Misoginia che si dispiega soprattutto nella cultura trans-queer, che per fare largo alle “vere donne” – non le nate donne, ma quelle che scelgono di esserlo – impone una neolingua corretta: "buco davanti" e non vagina, "mestruatori" e non semplicemente donne, e via rinominando.

Motivo di conflitto anche la rivendicazione di libero accesso all’affitto di utero: "Esigiamo", è scritto aggressivamente nel documento politico del Pride 2019, con il sostegno di un femminismo ancillare. Più in generale, a 50 anni dai moti di Stonewall del 27 giugno 1969, data di nascita del moderno movimento Lgbtq, la pretesa di occupare il centro delle politiche, di negoziare ogni sorta di diritto, di fare della fluidità il paradigma dell’umano – il Neutrum Oeconomicum di cui trent’anni fa il filosofo Ivan Illich preconizzava la venuta – potrebbe rivelarsi un boomerang. 

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