Se la classe operaia scrive i suoi romanzi

Nella fabbrica ex Gkn a Firenze il primo Festival italiano di letteratura working class: lavoratori-autori sulla scia di Orwell, Weil, London

Se la classe operaia scrive i suoi romanzi

Se la classe operaia scrive i suoi romanzi

di Lorenzo Guadagnucci

Non è vero che sta tornando la classe operaia, ché il lavoro subalterno, a basso reddito e sfruttato non è mai sparito dalla scena – tutt’altro – ma è vero che la classe operaia sta occupando uno spazio che non è mai stato suo: la letteratura. Non tanto libri sulla classe operaia, ma libri della classe operaia: lavoratori e lavoratrici, tute blu e lavapiatti, camerieri e assistenti domestici, precari e disoccupati che si mettono a scrivere e raccontano il loro mondo e anche la loro visione del mondo. È la letteratura working class e sta scuotendo uno degli ambienti più classicamente borghesi (e forse più classisti) della società dei consumi: l’editoria. Da venerdì a domenica a Campi Bisenzio (Firenze) si tiene il primo Festival italiano di letteratura working class e la sede degli incontri è già metà del programma: la fabbrica ex Gkn, controllata da un fondo finanziario e produttrice di semiassi fino al 9 luglio 2021, quando i 420 operai furono licenziati via mail; da allora i lavoratori sono in assemblea permanente (senza salario da ottobre) e al centro di una mobilitazione locale e nazionale con pochi precedenti per qualità e quantità di idee e proposte, in testa un piano di riconversione ecologica delle produzioni, al momento però ignorato da tutti e quindi oggetto di una campagna di finanziamento dal basso.

La fabbrica è dunque in liquidazione, ma per tre giorni sarà un epicentro di produzione e riflessione culturale. Animatore del Festival, con la casa editrice Alegre, è Alberto Prunetti, scrittore e traduttore piombinese, autore – fra gli altri – di un romanzo (Amianto, Agenzia X, poi Alegre) sulla storia del padre, morto di tumore ai polmoni a 59 anni dopo una vita in fabbrica, e di un picaresco ma anche crudo romanzo sulla sua decennale esperienza da “expat“ come lavapiatti e pulitore di cessi a Bristol.

I libri di Prunetti, ora tradotti in altre lingue, non sono romanzi veristi, né puntano a commuovere i lettori, sono semmai un misto di cronaca, denuncia, rivendicazione: romanzi pieni d’umorismo che portano alla luce le vite nascoste e negate della classe operaia e il punto di vista dei subalterni. Prunetti è autore anche di una “indagine sulla letteratura working class“ (Non è un pranzo di gala, Minimum Fax) che illumina il cambiamento in atto: gli operai che scrivono faticano a farsi pubblicare, ma quando i romanzi arrivano in libreria possono sfondare. È successo per esempio a Douglas Stuart, che dopo 44 (44!) rifiuti editoriali è arrivato col bellissimo Storia di Shuggie Bain (Mondadori) al Booker Prize 2020; a Joseph Ponthus, operaio in un mattatoio in Bretagna (morto nel 2021 a soli 42 anni), protagonista nella Francia letteraria del 2019 col romanzo Alla linea (Bompiani); all’autore del potentissimo Chav (Alegre), D. Hunter, uno che si presenta in terza di copertina come “coatto quarantenne di Nottingham che nei suoi primi 25 anni si è guadagnato il pane in un’economia informale che includeva furti, spaccio e sex work“.

La storia della letteratura è ricca di romanzi sul lavoro scritti da borghesi e piccoloborghesi, ma i “genitori“ della nuova generazione di romanzieri working class vanno ricercati nel George Orwell di Senza un soldo a Parigi e Londra e La strada di Wigan Pier; in Simone Weil che s’impiega alla catena di montaggio della Renault per capire davvero la questione operaia; nel Jack London dei romanzi sociali. Nell’Italia di oggi, quando si parla di letteratura working class i primi interpellati sono regolarmente Prunetti e Simona Baldanzi, scrittrice di famiglia operaia, autrice di Figlia di una vestaglia blu (Fazi, poi Alegre) e recentemente di Se tornano le rane (Alegre). Ma anche Claudia Durastanti, che in La straniera (La nave di Teseo) propone una storia di classe, disabilità e emigrazione, e la stessa Elena Ferrante, che nella serie de L’amica geniale (eo) fa emergere, fra le altre cose, il contrasto fra mondo borghese e ceti popolari, appartengono a un filone che ora sta esplorando la dimensione detta “intersezionale“: scrittura operaia, dunque, ma anche di persone razzializzate, discriminate, escluse dal discorso e dalla considerazione pubblica.

A ben vedere, è la letteratura che riscopre le sue radici: non la vocazione a cambiare il mondo, ma almeno a mostrare i lati più scabrosi e nascosti della vita personale e collettiva, nonché l’infinita pluralità dei punti di vista.

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