"Quattro mesi per avere Berlinguer a Mixer"

Giovanni Minoli ricorda la sua celebre trasmissione, riproposta su Raitre (una puntata per anno). "I faccia a faccia facevano paura"

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di Piero Degli Antoni

Mai nome fu meglio scelto: Mixer. Tra il 1980 e il 1998 la trasmissione ha frullato di tutto: cronaca, cinema, musica, sport, comicità. Con le sue interviste a mitraglia, fu la rivoluzione del giornalismo televisivo, fino ad allora molto paludato. Da domani in seconda serata su Raitre e da mercoledì 18 gennaio in prima serata su RaiStoria, andrà in onda Mixer – Vent’anni di televisione, summa di quel programma, una puntata per ogni anno.

Giovanni Minoli, come nacque Mixer?

"Fummo fortunati, perché ci trovammo in un cambiamento epocale: l’avvento del telecomando e quello delle tv private. Le tv private ci costrinsero a innovare il linguaggio anche dei programmi culturali, il telecomando lo incorporammo: ogni dieci minuti cambiavamo servizio".

Nel corso di 500 puntate lei ha intervistato tutti i personaggi più importanti degli anni ‘80 e ‘90, farne una lista è impossibile, ricordiamo per tutti Gianni Agnelli, Henry Kissinger, Shamir, Netanyahu, Gheddafi. Come faceva a ottenere interviste così clamorose?

"Con grande fatica. Per avere Enrico Berlinguer impiegai quattro mesi, e non ci sarei riuscito se non fosse intervenuta sua figlia Bianca. Per Agnelli fu più facile: sono torinese e mio padre era un avvocato molto noto in città".

Gli incontri più turbolenti che ha avuto?

"Stansfield Turner, allora capo della Cia, quando gli chiesi della P2 si alzò e se ne andò. Riuscirono a convincerlo a tornare indietro. Ma mandai in onda tutta la scena".

Ci furono altri episodi simili? "Quando si sedevano davanti a me nel ‘Faccia a faccia’ erano terrorizzati: sapevano che registravo tutto e l’avrei usato".

Qualche altro scontro?

"A Shamir, esponente di primo piano di Israele, chiesi se, quando l’organizzazione sionista Irgun mise le bombe al King David (il 22 luglio del 1946, ndr), si trattasse di patrioti o terroristi. Mi gettò l’auricolare in faccia e se ne andò. Tempo dopo incontrò Netanyahu, allora capo delegazione di Israele all’Onu. Quando Netanyahu gli disse che sarebbe stato intervistato da me, Shamir lo mise sull’avviso: guarda che quello è cattivo cattivo. Netanyahu si lasciò intervistare, e mi raccontò l’episodio solo successivamente".

Un altro ricordo?

"Andai in Nicaragua per intervistare Daniel Ortega, appena nominato presidente. Mi caricò sulla jeep e andammo in una zona di scontri coi Contras. Sparavano in continuazione e pensai: morire in Nicaragua, che schifo. Quando tornammo al palazzo presidenziale erano ormai le 3 di notte. Mi fece attendere dicendo che doveva vedere una persona. Alle 5 si aprì la porta del suo ufficio e ne uscì padre Bartolomeo Sorge. Quando mi vide trasecolò: “Cosa ci fai qui?“, mi chiese. “Cosa ci fa lei, qui“, risposi. “Mi devi giurare che per almeno sei mesi non dirai a nessuno che mi hai incontrato“. Giurai".

L’ospite più deludente?

"Ted Kennedy. Andai a Boston per intervistarlo. Prima di registrare mi avvertì che non voleva domande su Chappaquiddick, l’incidente da lui causato che provocò la morte della sua segretaria. Mi alzai e me ne andai".

Mixer fu la prima trasmissione giornalistica a ospitare un sipario comico...

"Oggi lo fanno tutti. Ogni puntata era chiusa da uno straordinario Paolo Villaggio che interpretava Gemma Pontini, una sindacalista agguerrita che però non faceva mai l’amore con il marito. Era una satira su Nilde Jotti".

Mixer introdusse anche i sondaggi...

"Già allora avevamo la sensazione che si fosse creata una distanza abissale tra il palazzo e il Paese reale. Così preparammo dei sondaggi invitando gli ospiti a scommettere sul risultato, in modo da capire chi aveva maggiormente il polso del Paese." Oggi che cosa guarda in tv?

"Le serie. Sono scritte benissimo da spie o poliziotti che conoscono quello di cui raccontano. Non solo americane, ma anche israeliane o arabe o di altri Paesi. Per esempio, Fauda è da perderci la testa".

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