Martedì 30 Aprile 2024

Quanta poesia nel calcio. E fu subito gol

Le cinque liriche di Saba, la fede interista di Sereni, tifoso-scrittore senza complessi. Quando lo sport diventa letteratura

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di Massimo Cutò

E dopo, che fare delle domeniche? Odio l’estate e il vento caldo che si porta via la magìa del calcio. C’era appena ieri una stagione in cui il football – non ancora industria miliardaria a tempo pieno – chiudeva per ferie, lasciando spazio agli altri sport. Sfrecciò vano, ora è poco, l’ultimo pallone e si perse: ma già sfavilla la ruota vittoriosa. Il ciclismo di Giro e Tour, certo. Poi l’automobilismo. E ancora pugilato, tennis, nuoto. Vittorio Sereni, il fuoriclasse della penna, l’uomo del lungolago di Luino, li amava tutti. Si nutriva della Gazzetta dello Sport. Ma soprattutto adorava lo stadio e i suoi eroi.

"Come fa uno che scrive, che ha letto certi libri, un intellettuale, ad appassionarsi, a prendere sul serio la partita della domenica e il campionato e i campioni del pallone?", era la domanda a cui rispose con la sua opera.

Sullo sfondo c’è un classico, il derby fra cultura alta e bassa. Sfida riassunta nei componimenti e gli articoli scritti fra il ‘47 e l’83, anno della morte, rintracciati da Alberto Brambilla e pubblicati nel volumetto Il verde è sommerso in nerazzurri, edizioni Nomos. Sereni ha conciliato gli opposti, facendo partita pari fin dal primo tiro in porta: Domenica sportiva, lirica del 1935. C’è già tutto nei versi dell’autore ventiduenne. In campo Inter e Juve: Il verde è sommerso in nerazzurri. Ma le zebre venute di Piemonte sormontano riscosse a un hallalì squillato dietro barriere di folla. La data è importante. La poesia segue la Prima antologia degli scrittori sportivi, edita da Carabba e coeva alla vittoria degli azzurri nel Mondiale del ‘34. I curatori Titta Rosa e Ciampitti avevano compilato un elenco ragionato, dimostrando due cose. La prima: in Italia esisteva una corposa letteratura sportiva. La seconda: era di qualità. Nelle pagine si animano palloni, motori, bici, guantoni.

De Martino narra le pedalate di Pavesi, Cotronei il crepuscolo del combattente Erminio Spalla, Orio Vergani la solitudine del vecchio boxeur. Ma spicca un testo spartiacque: i Cinque componimenti di Umberto Saba. Pur non essendo un calciofilo, il poeta triestino rimase conquistato da un match a cui assistette per caso. E fu subito gol. I suoi versi isolano una figura: Il portiere su e giù cammina come sentinella. Il pericolo lontano è ancora, annota. Per poi descrivere l’irreparabile della rete subìta: Il portiere caduto alla difesa ultima vana, contro terra cela la faccia, a non vedere l’amara luce.

Saba e Sereni – trent’anni di differenza – sono diversi. Brambilla sottolinea che per il primo "il calcio fu solo una parentesi e un pretesto poetico", mentre il secondo ne fece una ragione di vita. "Caro Saba, oggi la mia squadra, l’Inter, gioca a Trieste, dove probabilmente le buscherà", pronostica Sereni in un una lettera del 1949. L’altro dribbla l’argomento. Pazzo dell’Inter (e di Meazza, il più grande) da quando era l’Ambrosiana e giocava all’Arena milanese, Sereni ha costruito la sua poetica attorno a una passione che "di domenica in domenica, non si sa come, risorge". Era coppiano e alfista. Però il cuore batteva per la Beneamata: "Io, nerazzurro da infiniti anni, lo sono diventato una volta per tutte e per anni infiniti ho continuato ad esserlo in un modo solo", spiega nella dichiarazione d’amore Il fantasma nerazzurro. "Tifoso-letterato o letterato-tifoso qual io sono", aggiungeva: "Senza tifo non si dà reale interesse per il gioco".

La stessa tesi di Bontempelli, che mezzo secolo prima passava in rassegna il pubblico sugli spalti, differenziato per aree geografiche. Buzzati, Gianni Clerici, Piero Chiara, Giansiro (detto Sansiro) Ferrata, Arpino, Giudici, Oreste Del Buono, Pasolini, Bassani, Raboni... La lista dei grandi scrittori prestati allo sport – anche solo per un capitolo – è lunghissima. Si specchia per vitalità e bellezza nei funamboli sudamericani Eduardo Galeano e Osvaldo Soriano. E pazienza se Umberto Eco sminuiva Brera come il Gadda dei poveri: il fatto agonistico sa vestirsi di epica e di elegia. Al fischio finale dell’arbitro, la festa scolora tra languore e rimpianto. Restano i versi di Sereni: Da sotto le pergole di un bar di San Siro (...) si intravede un qualche spicchio dello stadio isolato quando trasecola il gran catino vuoto a specchio del tempo sperperato e pare che proprio lì venga a morire un anno.

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