Mercoledì 24 Aprile 2024

Quando la radio bucava la Cortina di ferro

Fra propaganda di regime, informazione e lotta politica: la lunga stagione dei programmi in italiano dai Paesi del socialismo reale

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di Lorenzo Guadagnucci

Che cosa lega Il dottor Živago,il futuro direttore del Tg3 Sandro Curzi, una canzone di Franco Battiato, l’ultimo discorso alla nazione di Aleksander Dubček e lo scrittore specializzato in extraterrestri Peter Kolosimo? Hanno in comune quella misconosciuta ma a suo modo influente rete di trasmissioni radiofoniche in italiano diffuse da emittenti d’Oltrecortina. Decenni di tempestosa attività, fra propaganda (molta), ma anche informazione e intrattenimento in un’epoca in cui la guerra fredda si combatteva anche via etere. Da Radio Mosca a Radio Varsavia, passando per Tirana, Budapest, Berlino e le altre capitali, dall’Europa orientale giungeva la voce del socialismo reale ma anche quella dell’italianissimo Pci, che aveva trovato il modo – insediando redazioni e giornalisti all’estero – di ribattere alla ferrea presa dei partiti di governo sulla Rai (detta nell’ambiente “Radio Roma“) e di aggirare il monopolio statale sulla radiofonia, durato fino al 1976.

La storia più nota è quella di Oggi in Italia, definita da Lorenzo Berardi nel suo documentatissimo libro Radiocronache. Storie delle emittenti radiofoniche d’Oltrecortina (Prospero editore), "la radio clandestina del Pci". Nata nel 1951, fu guidata inizialmente da un gruppo di cinque ex partigiani esuli in Cecoslovacchia, fra i quali spiccava la figura di Francesco Moranino, già deputato e sottosegretario, riparato a Praga per sfuggire a un ordine d’arresto relativo a una strage avvenuta durante la Resistenza. Oggi in Italia era chiamata sul posto “Italie B“, per distinguerla da “Italie A“, cioè i programmi in italiano di Radio Praga, emanazione del Partito comunista cecoslovacco. Le differenze erano sostanziali: mentre la seconda si rivolgeva principalmente agli immigrati italiani (non pochi) e non lesinava con la propaganda tesa ad attaccare l’Occidente e a descrivere il socialismo reale come un idillio, l’altra – controllata dal Pci – ebbe un tono molto più informativo, sia sul blocco socialista, sia sulla politica internazionale, sia sull’attualità politica italiana. Si rivolgeva all’allora vasto campo dell’elettorato di sinistra, facendo concorrenza alla Rai: era “fuorilegge“ e fu anche contrastata con emissioni di disturbo, ma Berardi documenta inserzioni pubblicitarie uscite negli anni ’50 sull’Unità e perfino sull’Avanti!, i giornali di Pci e Psi. Contraddizioni dell’epoca.

Oggi in Italia aveva stretti rapporti con la stampa comunista in patria (fra i giornalisti vi fu, appunto, Sandro Curzi) e ogni giorno, a metà pomeriggio, un collegamento telefonico con l’Unità a Roma consentiva di avere notizie fresche dall’Italia. Radio “Italie B“ ebbe un momento di gloria nel fatidico 1968 durante la “primavera di Praga“: i sovietici, occupando la capitale, presero possesso dell’emittente di Stato, ma non sapevano nulla della villa che ospitava la redazione italofona e così per qualche giorno la “resistenza“ trovò rifugio a Oggi in Italia, fino all’ultimo discorso di Dubček prima della sua destituzione.

La relativa libertà (libertà sotto il controllo del Pci, va da sé) di Oggi in Italia non fu eguagliata da nessun’altra emittente, ma anche Radio Mosca e Radio Varsavia riuscirono in qualche modo a farsi notare. Un redattore di Radio Mosca, passato anche per altre emittenti d’Oltrecortina, Sergio D’Angelis, fu protagonista del più clamoroso colpo editoriale italiano del secondo dopoguerra: fu lui l’intermediario fra Boris Pasternak e Giangiacomo Feltrinelli nella rocambolesca pubblicazione de Il dottor Živago, capolavoro della letteratura russa ed europea del ’900.

Anche Radio Varsavia riuscì a farsi conoscere e rispettare dagli ascoltatori, coi quali intratteneva regolari scambi epistolari; l’emittente organizzava anche concorsi che mettevano in palio soggiorni turistici in Polonia. La presa del regime era tuttavia piuttosto stretta: nel 1968 il capo della redazione italiana, Mario Cavagnaro, fu licenziato perché sospettato di avere troppo strette relazioni con esponenti del Partito comunista polacco espulsi dal paese al culmine di una campagna antisemita che aveva spinto migliaia di ebrei polacchi a espatriare. In ogni caso Radio Varsavia aveva un suo spazio nell’immaginario collettivo degli italiani, tanto da spingere Battiato a scrivere l’omonima canzone, come sempre un po’ surreale e sfuggente, ma che qualcosa diceva con il ritornello: “Radio Varsavia, l’ultimo appello è da dimenticare“. Era l’82 e da un anno in Polonia vigeva la legge marziale.

Infine, Radio Capodistria, emittente di confine sbarazzina e fuori dagli schemi, anticipatrice nei primi anni ’70 della stagione delle radio libere. Vi lavorarono, fra gli altri, un certo Pier Domenico Colosimo, autore col nome di Peter Kolosimo di popolarissimi romanzi di fantarcheologia, ma anche uno scrittore come l’istriano di Materada Fulvio Tomizza, premio Strega nel ’77, e il futuro astrologo televisivo Branko, all’epoca conduttore di “Musica per voi“, due ore di di proposte musicali e telefonate con gli ascoltatori che avrebbero fatto scuola.

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