Domenica 16 Giugno 2024
LORENZO GUADAGNUCCI
Libri

Paolo Giordano: “Ero un nerd e resto un nerd. Il lato ‘diverso’ della scienza: spazio di politica e letteratura"

Lo scrittore direttore artistico del festival di Trieste “Scienza e Virgola”: "Guardare dai margini permette di scoprire punti di vista inaspettati, dalle prospettive queer sul pensiero scientifico alla violenza schiavista che si cela nelle bellezze dei giardini"

Paolo Giordano, 41 anni, scrittore, fisico, direttore artistico del festival “Scienza e Virgola“ in corso a Trieste

Paolo Giordano, 41 anni, scrittore, fisico, direttore artistico del festival “Scienza e Virgola“ in corso a Trieste

Trieste, 19 maggio 2024 – Paolo Giordano è stato un fisico, poi è diventato uno scrittore, ma le due dimensioni s’intersecano, fermo restando, dice lui, che "ero e resto un nerd". A Trieste è il direttore artistico di un Festival – “Scienza e virgola“ (fino a martedì), organizzato dalla Sissa – che si muove, in coerenza con la città, su un territorio di frontiera, aperto, apertissimo alla cultura umanistica.

Giordano, avete dedicato il festival 2024 alla diversità, un concetto tipicamente umanistico. O no?

"Diversità è una parola un po’ abusata da un certo tipo di retorica e c’è bisogno di ‘ripopolarla’ in senso specifico. La diversità in questo caso è intesa come varietà. La varietà è un concetto scientificamente molto importante. Le evoluzioni delle specie procedono per variazioni e mutazioni. La diversità che abbiamo in mente, è la varietà di prospettive sulla scienza. Una varietà non solo di argomenti, ma anche di punti di vista. La scienza non è stata sempre una disciplina... diversa, nel senso di inclusiva. Lungamente, per secoli, è stato per esempio marginalizzato lo sguardo delle scienziate; oggi prendiamo in considerazione la scienza queer, per capire qual è la critica al pensiero scientifico che può arrivare da una prospettiva transgender... Guardiamo alla scienza dai margini".

Lo sguardo laterale non rischia di portare fuori strada?

"Tutt’altro. Ci aiuta a integrare nuovi sguardi e nuove prospettive. Per esempio abbiamo focalizzato l’attenzione sul libro di Olivia Laing Il giardino contro il tempo (Longanesi)".

Perché i giardini?

"Perché l’idea del giardino ci fa pensare ai giardini come luoghi ideali di bellezza. Laing invece rovescia il paradigma facendo un’analisi storica di alcuni particolari giardini, soprattutto inglesi, e si concentra su chi da quei giardini paradisiaci è stato escluso. Così Laing riesce a mostrare come tanta bellezza è stata creata: producendo diseguaglianze, ingiustizie, violenze. Pensiamo a certi meravigliosi giardini creati in America grazie ai proventi enormi dello schiavismo: è il concetto stesso di bellezza che viene messo in discussione".

Che c’entra questo con la scienza?

"Questo riguarda molto strettamente la scienza, il modo di comunicarla. Tendiamo a dire: interessatevi alla scienza, guardate com’è meravigliosa, quanta bellezza dischiude, cioè usiamo una strada... un po’ estetica per avvicinare le persone. E invece forse esistono delle strade più etiche, più politiche, e anche più interessanti, più attuali nel vedere chi sono gli esclusi dal giardino della scienza, quali sono gli sguardi che non ci sono, i soprusi che il processo scientifico a volte ha determinato. Oltretutto siamo a Trieste e questa è la città in cui Franco Basaglia, di cui ricorre il centenario, ha saputo fare una rivoluzione di punto di vista, guardando la scienza psichiatrica dal punto di vista degli esclusi dalla medicina. È questo il cuore di “Scienza e virgola“, un taglio anche un po’ politico, nella temperatura del tempo che viviamo".

A proposito: nei campus statunitensi, nelle manifestazioni pro Palestina, si sono contestati anche accordi scientifici, nei legami con l’industria delle armi. L’attualità fa irruzione sempre.

"La nostra idea è che la scienza sia veramente lo spazio più aperto. Certo, nessun luogo è neutrale, ma Trieste, in particolare, è un luogo con istituti di ricerca – penso anche ad Abdus Salam – nati con l’idea di includere anche paesi in in netta contrapposizione fra loro. Crediamo fortemente nell’idea dell’accademia come luogo di dialogo da non interrompere mai. Questa è la cultura della scienza a Trieste".

Sono passati sedici anni dallo Strega con La solitudine dei numeri primi . Che cos’è successo nel suo percorso fra scienza e letteratura?

"Quando ho iniziato a scrivere davo per scontato che la mia vita, il mio futuro sarebbero stati legati alla ricerca scientifica. La scrittura all’inizio è stata un’attività semiclandestina, perché non mi autorizzavo a praticarla fino in fondo: ero deciso e motivato nell’idea di diventare un fisico. Quando poi ho pubblicato il primo libro, la possibilità di scrivere mi ha “convocato“ molto più di quanto mi sarei aspettato. È stato un passaggio traumatico, perché lasciavo un’idea di me, che peraltro mi segue ancora. Per esempio quando metto in scena dei narratori fittizi ma che mi assomigliano, sono quasi sempre dei fisici, riflettono cioè quella vita altermativa che mi sembra di non aver preso per motivi quasi accidentali".

Si sente sdoppiato?

"Per lungo tempo ho vissuto tutto questo come una frattura, con dolore. Ora però sento sempre di più che è molto interessante integrare le due dimensioni, umanistica e scientifica; sento che ce n’è molto bisogno e che è molto creativo. Io continuo a leggere molto di scienza, forse più di quando studiavo, visto che ho ampliato i campi di cui mi interesso. Ovviamente non sono più un esperto di nulla, però sfioro tutto. Occuparmi di un Festival come questo, che ti dà una specie di catalogo di quello che avviene in campo scientifico e anche, almeno in parte, in quello umanistico, è la cosa che più mi piace fare, al di fuori della scrittura stessa".

Più letterato o più scienziato?

"Ero un nerd, resto un nerd, questo è il modo più spiccio per dire di me".