Firenze, 2 giugno 2024 – Provate a voltarvi indietro e a osservare il tempo passato. Non so se capita anche a voi, ma i contorni di un paio d’anni mi appaiono confusi, sfumati. Eppure sono anni recenti che, apparentemente, ho quasi cancellato dalla memoria. I meccanismi della mente umana sono sempre stupefacenti: dinanzi alla calamità della pandemia molti di noi hanno rimosso quegli istanti di sgomento e, nella migliore delle ipotesi, le immagini tornano alla mente come quelle di un lungometraggio d’annata.
Chi non ritorna sono i tanti amici e conoscenti che il virus ha colpito duramente, portandoceli via.
Luis Sepulveda era un mio amico. È stato colpito dal contagio tra i primi. Ricordo che, tramite la nostra comune casa editrice, mi tenevo informato e ricevevo notizie rassicuranti. Il tracollo è avvenuto all’improvviso e Luis non ce l’ha fatta.
Ad Asti, grazie all’editore Marco Tropea si è tenuta sino all’inizio degli anni 2000, una bella kermesse letteraria il cui sottotitolo poteva essere la letteratura occidentale incontra quella sudamericana. Ho vestito alcune volte la maglia nazionale e mi sono ritrovato orgoglioso a rappresentare i colori azzurri, avendo modo di apprezzare la disinvoltura sul palcoscenico dei colleghi sudamericani.
Paco Ignacio Taibo II, spagnolo di nascita e messicano d’adozione, è il più grande sommelier di Coca Cola che io conosca. Paco, da gran bevitore della bevanda americana, riesce a distinguere addirittura dove è stata prodotta la lattina che sta sorseggiando. È un amante di Emilio Salgari e maestro di biografie, tanto per ricordarne alcune, quella di Pancho Villa e quella di Che Guevara.
Ispira simpatia solo a guardarlo.
Al contrario Luis aveva l’aspetto da duro, una vita da oppositore di un regime assassino. Aveva però un cuore generoso e sincero.
Eravamo sul palco di Asti e si parlava di personaggi ricorrenti, quando Luis rivela che, per risolvere un’impasse nel lavoro che stava ultimando, una parte sarebbe calzata a pennello al commissario Belascoaràn, personaggio ricorrente di Taibo.
Così Sepulveda si affrettò a chiamare l’amico per chiedergli il ‘suo’ poliziotto in prestito.
«Volentieri, ma a un patto», rispose Paco. «Nell’ultimo romanzo gli ho fatto perdere un braccio, nel penultimo un occhio. Te lo presto a condizione che me lo restituisci sano!»
Ho nostalgia di quelle serate a raccontare aneddoti, dello sguardo duro di Sepulveda che, quando sorrideva, sembrava di scartare un regalo. Ho nostalgia delle prove da sommelier di Paco con cinque lattine di Coca Cola per azzeccarne la provenienza, dell’esperienza di Chavarria e di Westlake. Di tutte le cose che ho imparato avendo solo il privilegio di stare loro accanto. Alcuni degli autori che ho nominato non ci sono più. Mi piace ricordarli, così, seduti a un tavolino a raccontarci istanti di vita e di scrittura, senza mai vantarsi delle proprie capacità, ma pieni dell’umiltà che solo i grandi sanno regalare.