La letteratura è uno strumento potente per imparare a conoscere se stessi e il mondo. E tra tutti i generi, il romanzo di formazione è la lente migliore attraverso cui guardare la crescita, le prime volte, le cadute, i cambiamenti. È l’eco delle domande che ci portiamo dentro: “Chi sono?”, “Chi diventerò?”. Leggere storie in cui il protagonista cresce, affrontando mille battaglie fisiche e psicologiche, non è solo un esercizio di empatia, è un modo per prepararsi alla vita.
In un tempo in cui l’educazione sembra smarrita tra nozioni e voti, ritrovare nella scuola e nei libri uno spazio di formazione - non solo per studenti - è un atto quasi rivoluzionario. Di tutto questo e molto di più si è parlato nell’ultima puntata de Il piacere della lettura, con ospite Nicola Campiotti, autore del romanzo Tutto tra noi è infinito (Sperling & Kupfer).
“Un libro che nasce da dieci anni di ascolto e osservazione”, dice Campiotti. Una storia scritta perché non poteva farne a meno, perché bisognava fare pace col passato, prima di attraversare nuove fasi della vita. Il protagonista, Teo, attraversa l’infanzia, l’adolescenza e l’età adulta, affrontando, nel corpo e nell’anima, le prove che tutti - prima o poi - ci troviamo a dover superare: l’amore, la separazione, la fede, la morte. Eppure, il tono non è drammatico: la leggerezza e l’ironia diventano armi narrative per trasformare il dolore in possibilità, l’errore in esperienza, la solitudine in ricerca.

Centrale nel racconto è il ruolo della scuola. Non come tempio del sapere, ma come spazio di incontro e di rivelazione. La professoressa Marini, personaggio iconico, possiede le caratteristiche ideali per essere un’insegnante perfetta: non giudica, non impone, ma ascolta e dialoga. Riesce, senza effetti speciali, a cambiare la vita dei suoi studenti. Nessuno è escluso, tutti hanno la propria dignità, soprattutto di pensiero, fosse anche divergente dal suo. Non lascia nessuno indietro, ma dà la possibilità a tutti di vivere ciò che hanno nel profondo, ovunque questo li conduca. Nella parte finale del libro, la professoressa Marini si abbandona a un pensiero: "Soffro a non trovare in questo nostro Paese un briciolo di senso di comunità". Una frase che brucia ancora oggi. Perché la scuola - quella vera, pubblica, libera - è l’ultimo presidio di comunità che ci resta. Ed è proprio per questo motivo che raccontarla diventa un atto politico, un’urgenza civile.
Campiotti, che ha vissuto immerso nel cinema e che da ragazzino, in una piazza di provincia, fu folgorato da L’attimo fuggente, ci ricorda quanto conti incontrare maestri - reali o immaginari - che sappiano accendere una scintilla. Il film, dice, lo cambiò per sempre, perché il professore - interpretato magistralmente da Robin Williams - non era soltanto un individuo, ma un faro, una luce che illuminava il cammino di quei ragazzi, spauriti o spavaldi, che avevano tutta la vita davanti e un estremo bisogno di qualcuno che spiegasse loro che una strada esisteva, e doveva essere illuminata dalla poesia.
Tutto tra noi è infinito non è solo un libro “per giovani”, è un libro “sui giovani”, ed è questo a renderlo universale. Alla fine, cosa conta davvero? Forse non tanto capire, né crescere in fretta, ma stare bene. Riconoscere il proprio passo, accettare il cambiamento, cercare un senso più grande. Il libro, quindi, vuole essere una bussola narrativa per orientarsi nel caos della vita; un monito: “Non sei solo, puoi farcela”. Perché in questo mondo super connesso, la solitudine può annichilire.
I romanzi, forse, non cambiano il mondo, però cambiano le persone. E le persone, quelle sì, cambiano tutto.