di Lorenzo Guadagnucci Un dandy, un grande drammaturgo, un poeta e maestro della parola, un fustigatore della morale borghese: Oscar Wilde è stato tutto questo. Ma è stato anche uno scrittore politico. Anarchico; o forse, più precisamente, un socialista libertario. Torna in libreria domani grazie all’editore Elèuthera – nel volume di interventi politici Considerazioni irriverenti sull’animo umano, curato da David Goodway – un suo famoso saggio del 1891: L’anima umana del socialismo. All’epoca, nei milieu letterari, fu considerato un testo stravagante quanto il suo autore: inneggiava al socialismo e al tempo stesso all’individualismo. Pareva un paradosso, parto di uno spirito inquieto e provocatore. Ma il principe Petr A. Kropotkin, uno dei padri fondatori dell’anarchismo moderno, ne colse subito la natura e lo indicò come "quell’articolo di Oscar Wilde sull’anarchismo". E molti anni dopo dopo George Orwell – altro autore schiettamente politico oltre che scrittore fra i maggiori del ‘900 – riconobbe ne L’anima umana del scoialismo un "testo utopico e anarchico" utile "a rammentare al movimento socialista il suo obiettivo originario e semidimenticato, quello della fatellanza umana". Qual era dunque la visione pollitica di Oscar Wilde? Diciamo che aveva una chiara visione dei rapporti di forza e della divisione in classi della società, al punto che definiva schiavistica la condizione operaia in Gran Bretagna; diffidava (è un eufemismo) della filantropia, che a suo avviso ingannava i poveri e ne affievoliva l’ansia di rivolta; credeva che in una società socialista potesse esprimersi pienamente l’individualismo, ossia la libera espressione dell’indole di ciascuno. Non parlava di rivoluzione, come facevano invece gli agitatori del suo tempo, ma aveva le idee chiare sulle via della trasformazione: "La disobbedienza, agli occhi di chiunque abbia studiato la storia, è la virtù originaria dell’uomo. È dalla disobbedienza che è derivato ogni progresso: dalla disobbedienza e dalla ribellione". Respingeva la richiesta ...
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