Giovedì 25 Aprile 2024

Oscar Wilde, il socialista dal volto umano

Poeta, drammaturgo ma anche scrittore politico vicino all’anarchismo. "Disobbedienza e ribellione sono all’origine del progresso"

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di Lorenzo Guadagnucci

Un dandy, un grande drammaturgo, un poeta e maestro della parola, un fustigatore della morale borghese: Oscar Wilde è stato tutto questo. Ma è stato anche uno scrittore politico. Anarchico; o forse, più precisamente, un socialista libertario. Torna in libreria domani grazie all’editore Elèuthera – nel volume di interventi politici Considerazioni irriverenti sull’animo umano, curato da David Goodway – un suo famoso saggio del 1891: L’anima umana del socialismo. All’epoca, nei milieu letterari, fu considerato un testo stravagante quanto il suo autore: inneggiava al socialismo e al tempo stesso all’individualismo. Pareva un paradosso, parto di uno spirito inquieto e provocatore. Ma il principe Petr A. Kropotkin, uno dei padri fondatori dell’anarchismo moderno, ne colse subito la natura e lo indicò come "quell’articolo di Oscar Wilde sull’anarchismo". E molti anni dopo dopo George Orwell – altro autore schiettamente politico oltre che scrittore fra i maggiori del ‘900 – riconobbe ne L’anima umana del scoialismo un "testo utopico e anarchico" utile "a rammentare al movimento socialista il suo obiettivo originario e semidimenticato, quello della fatellanza umana".

Qual era dunque la visione pollitica di Oscar Wilde? Diciamo che aveva una chiara visione dei rapporti di forza e della divisione in classi della società, al punto che definiva schiavistica la condizione operaia in Gran Bretagna; diffidava (è un eufemismo) della filantropia, che a suo avviso ingannava i poveri e ne affievoliva l’ansia di rivolta; credeva che in una società socialista potesse esprimersi pienamente l’individualismo, ossia la libera espressione dell’indole di ciascuno. Non parlava di rivoluzione, come facevano invece gli agitatori del suo tempo, ma aveva le idee chiare sulle via della trasformazione: "La disobbedienza, agli occhi di chiunque abbia studiato la storia, è la virtù originaria dell’uomo. È dalla disobbedienza che è derivato ogni progresso: dalla disobbedienza e dalla ribellione". Respingeva la richiesta di moderazione e parsimonia rivolta alle classi popolari: "Un povero che sia ingrato, improvvido, scontento e ribelle avrà probabilmente una vera personalità, e grandi risorse interiori. In ogni caso la sua è una protesta sana". Wilde non vedeva alcuna contraddizione fra socialismo e individualismo poiché, diceva, "il socialismo sarà prezioso per il semplice fatto che porterà all’individualismo".

L’autore de Il ritratto di Dorian Gray scriveva ben prima che prendessero forma i regimi detti del “socialismo reale”; la sua era l’epoca degli scontri fra Marx e Bakunin. Sul punto aveva idee chiare e in qualche misura profetiche: "È evidente – scriveva – che nessun socialismo autoritario potrà mai farcela. Perché se sotto il sistema vigente un ampio numero di individui può condurre un’esistenza con una certa quota di libertà, espressione personale e felicità, sotto un sistema di irreggimentazione industriale, o di tirannide economica, nessuno potrà godere di alcuna libertà".

In un altro passaggio – schiettamente anarchico – sostiene che "tutte le forme di governo sono fallimentari" e che lo Stato non dovrà governare, bensì "organizzare il lavoro, gestire la produzione e la distribuzione dei beni necessari. Lo Stato produrrà ciò che è utile. L’individuo produrrà ciò che è bello".

Wilde nei suoi testi politici cita Gesù più che Marx o Bakunin e vive come altri letterati britannici la stagione del “socialismo utopistico“. Va tuttavia anche più in là: fra i suoi ispiratori c’è l’erudito cinese Zhuāngzi ("il cui nome – scrive divertito – va accuratamente pronunciato come non è scritto"), vissuto nel quarto secolo prima di Cristo, secondo il quale, scrive Wilde, "l’accumulo di ricchezze è l’origine di ogni male. Rende violenti i forti e disonesti i deboli" ed è all’origine "della competizione, e la competizione è uno spreco e una distruzione di energie".

Wilde non apprezzava la “propaganda del fatto“ scelta da quegli anarchici – come Ravachol o Sante Caserio – che mettevano bombe o uccidevano re, ma non aveva il mito della legalità borghese e democratica. Lui stesso, del resto, ne aveva sperimentato la durezza, con i lunghi mesi trascorsi in carcere in condizioni spaventose dopo la condanna per omosessualità. Proprio al carcere il drammaturgo dedicò alcuni dei suoi più sagaci interventi politici (compresa la toccante Ballata del carcere di Reading), giungendo alla conclusione – in anticipo sulle moderne teorie abolizioniste – che il carcere è inutile e va superato,

Oscar Wilde era un illuso? Forse, ma aveva abbastanza acume politico da dire chiaramente che "rendere socialisti gli uomini non è nulla, mentre rendere umano il socialismo è una gran cosa". Lo si potrebbe definire un utopista, magari per sminuirne lo spessore politico. Ma lui ne sarebbe contento: "Una mappa del mondo che non comprenda l’isola di Utopia non merita di essere consultata, perché esclude l’unico paese in cui l’umanitòà approda sempre. E quando ci arriva, l’umanità si guarda intorno, vede un paese migliore, e salpa di nuovo. Il progresso è la realizzazione dell’Utopia".

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