Domenica 5 Maggio 2024

Nostalgia canaglia, il ritorno dei Musicarelli. Altro che video su TikTok

Da “Urlatori alla sbarra“ a “In ginocchio da te“: pochi soldi, grandi incassi. Così al cinema negli anni ’60 spopolavano le canzoni di Mina e Gianni Morandi.

Nostalgia canaglia. Altro che video su TikTok. C’era una volta la generazione Musicarelli

Nostalgia canaglia. Altro che video su TikTok. C’era una volta la generazione Musicarelli

Roma, 26 aprile 2024 – Era il 1960. Usciva un film dallo strano nome: Urlatori alla sbarra. I titoli di testa dicevano "Urlato da Mina, sussultato da Adriano Celentano". E aggiungevano: "da un vago soggetto e un’inesistente sceneggiatura di…": seguivano quattro nomi, fra cui quelli di Lucio Fulci e Piero Vivarelli. Se non altro, erano stati sinceri. La storia – in quel film, e negli altri seguiranno – era esile, tenue. Ma la musica avrebbe fatto tutto il resto, e decretato il loro successo. Erano nati i "musicarelli".

Nipoti dell’opera lirica, figli del musical, fratellastri di Carosello, cui avevano rubacchiato il nome, i musicarelli sono stati un genere cinematografico tutto italiano, che ha segnato l’unico decennio del dopoguerra in cui la società italiana abbia carezzato, sfiorato e a volte raggiunto una felicità collettiva: gli anni Sessanta.

C’è quasi il profumo di questa felicità collettiva, nelle 250 pagine in cui Marta Cagnola e Simone Fattori riassumono la storia di questo filone cinematografico tutto italiano. E nel quale accolgono i ricordi, fra il sorriso e la nostalgia, di alcuni dei protagonisti di quei film, da Laura Efrikian ad Al Bano, da Mal a Bobby Solo.

Il libro, Musicarelli, è edito da Vololibero. Altro che epopea anni ’80-’90 dei videoclip, altro che i “reels“ di oggi su TikTok. Sono stati un centinaio, i musicarelli, raccolti in una decina d’anni. Fra il 1960 del nascente boom economico e il 1970 della contestazione giovanile, dell’inizio degli anni di piombo.

La guerra e le sue macerie sono definitivamente alle spalle, e nella società compare un soggetto generazionale, sociale, commerciale nuovo: i giovani. Sono loro che comprano i dischi, loro che vanno al cinema. Sono una nuova, ghiotta fascia di mercato da conquistare. E i film musicali degli anni ’60 sono rivolti a loro. Certo, c’erano stati i film americani, quelli che avevano fatto esplodere il rock’n roll: nel 1955 c’era Rock Around the Clock nei titoli de Il seme della violenza. C’era stato Go, Johnny Go! nel 1959, con Chuck Berry ed Eddie Cochran, e c’erano stati i film con Elvis. Ma in Italia i "musicarelli" saranno qualcosa di unico, accompagneranno uno star system di cantanti giovani, conquisteranno il mercato con prodotti a basso costo.

Ed ecco Mina con i capelli corti, vestita di nero, che canta "Nessùno, nés-su-ùno, nés-su-ùno, nemmeno il destino", in Urlatori alla sbarra, del 1960. Accende una candela sotto il santino di Louis "Satchmo" Armstrong, e vive in una casa dove, nella vasca, dorme beatamente Chet Baker con la sua tromba. Ecco Gianni Morandi in divisa, con la bustina da soldato in testa, baciare timidamente Laura Efrikian in In ginocchio da te. E Al Bano, cameriere di belle speranze che s’innamora della bella borghese Romina Power in Nel sole. Ecco I ragazzi di Bandiera Gialla, 1967, con Gianni Pettenati che finge maldestramente di suonare la chitarra, mimando accordi impossibili, mentre dietro di lui balla un giovanissimo Renato Zero, magro magro e irriconoscibile. Esordirà in un musicarello con Al Bano anche un giovanissimo Paolo Villaggio.

Erano piccoli film dal grande incasso. Diretti da specialisti del genere, Piero Vivarelli o Tullio Piacentini, o da registi di spessore, Lucio Fulci, Enzo Trapani e Lina Wertmuller. Erano film semplici, raccontavano storie d’amore a lieto fine. Ma raccontavano anche il conflitto fra generazioni, fra i giovani capelloni e gli adulti borghesi e benpensanti: attenti a farlo sempre in modo "morbido", così da accontentare un po’ tutti.

Perché lo scopo, ovviamente, era vendere. Erano delle grandi pubblicità, o come si diceva allora, delle grandi "réclame". E dalla réclame per eccellenza, il Carosello tv, prendevano il linguaggio, le storie e anche alcuni degli attori. Vendevano il divo musicale di turno e il suo disco. Ma lo facevano con una certa grazia, con la leggerezza e il romanticismo di storie semplici, parenti di un altro genere tutto italiano: il fotoromanzo. Quelle storie fotografiche su cui milioni di italiani hanno imparato a leggere, e le cui storie furono scritte, all’inizio, da Cesare Zavattini, uno dei padri del Neorealismo. Ma questa è ancora un’altra storia.

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