Giovedì 25 Aprile 2024

Nell’America dei perdenti

Andrea

Martini

Dopo un periodo opaco riappare sulla scena Sean Penn. Torna alla luce della ribalta come attore, regista e padre. In “Flag Day“, primo film americano del Concorso, Sean Penn ricopre infatti con disinvoltura e destrezza i tre ruoli. Lo ha diretto con una passione per il cinema anticonformistica come dimostra l’uso della pellicola super16, lo ha interpretato con la inconfondibile forza grezza della sua recitazione e, da padre, ha chiamato accanto a sé la figlia Dylan al suo primo ruolo da protagonista.

John Vogel è un anticonformista, imprevedibile, incosciente, esaltato dalla sua stessa capacità di mentire. Compra pagando con rate che non onora, truffa, millanta crediti inesistenti, ha sempre propositi grandiosi e pretende d’essere quello che tutti gli americani poveri vorrebbero essere: un imprenditore di successo. Agli occhi della figlia Jennifer, adolescente, rappresenta l’avventura, il coraggio, ma è anche la garanzia della sua personale protezione. Col passare del tempo i progetti paterni si fanno più pericolosi, gli abbandoni più lunghi e i ritorni più rari fino a che le porte del carcere si dischiudono, la fiducia s’incrina e i rapporti si rovesciano. Divenuto falsario John corre verso l’inevitabile drammatica conclusione, osservata da Jennifer, oramai affermata giornalista, direttamente dalle immagini tv. Ambientato nei decenni a cavallo del secolo in un Midwest polveroso e povero (anche se girato, da indipendente, in Canada) “Flag Day“ niente aggiunge alla rappresentazione della disperazione americana, economica e familiare, che il cinema tante volte ha dato: case fatiscenti, genitori alcolizzati. Penn riesce però a imporre un marchio di fabbrica al film e una sensibilità propria allo straziante personaggio del genitore eterno perdente.

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