Mercoledì 24 Aprile 2024

Lucca Comics, pazzi di Zerocalcare: "Ma per me il successo è una vergogna"

Michele Rech tra gli ezidi di “No Sleep Till Shengal“ e la seconda serie animata in lavorazione per Netflix

Zerocalcare, 38 anni, in No Sleep Till Shengal e a Lucca Comics & Games

Zerocalcare, 38 anni, in No Sleep Till Shengal e a Lucca Comics & Games

"Il fumetto da solo non può aiutare la causa della libertà calpestata, ma può essere uno strumento per fare ascoltare voci che altrimenti non si sentirebbero mai". Michele Rech, per tutti Zerocalcare, è travolto dalla folla di fan che assedia lo stand della casa editrice Bao Publishing a Lucca Comics & Games (in corso fino a domani), ma trova il tempo di parlare del suo nuovo libro No Sleep Till Shengal e soprattutto della causa che c’è dietro a questo viaggio per testimoniare ciò che accade in uno dei tanti scenari dove i diritti delle minoranze sono negati.

Perché questo libro?

"Volevo raccontare gli ezidi e tutte quelle popolazioni che vivono tra il nord della Siria, la Turchia e l’Iraq, che stanno provando a costruire una società diversa, ispirata ai valori del confederalismo democratico".

Per esempio?

"La liberazione della donna, la convivenza tra popoli, la redistribuzione delle ricchezze. Ma volevo raccontare anche di come gli ezidi si trovano a fronteggiare l’integralismo jihadista da una parte e la minaccia della Turchia che li vuole spazzare via dall’altra".

Quindi un sorta di continuazione di Kobane Calling?

"Sì, diciamo che è il seguito ideale nel senso che la battaglia di queste persone continua ancora e in questo fumetto racconto come sta proseguendo".

La grande popolarità, soprattutto dopo la serie tv Strappare lungo i bordi, su Netflix, le ha cambiato la vita?

"Da un lato il successo ti dà una tranquillità economica notevole: ho comprato casa e posso pagare le bollette. Ma la verità è che la fama porta con sé delle cose che sono antitetiche al mondo da cui provengo. Se la maggioranza delle persone è felice quando si trova in copertina su una rivista o intervistata in tv, ecco io vengo da un mondo in cui tutto ciò rappresenta una nota di demerito, qualcosa di cui vergognarsi in quanto “collaborazionisti“".

Come reagiscono i suoi amici a questo?

"Mi 'bullizzano' e quello che di solito gli hater fanno alle altre persone, cioè i fotomontaggi o le dichiarazioni finte, a me lo fanno gli amici miei".

A proposito: com’è stato portare Netflix nella realtà di Rebibbia?

"Curioso, perché il mio è un quartiere dove non si leggono particolarmente i fumetti, non ci sono tante persone che conoscono il mio lavoro, mentre invece effettivamente Netflix ha un grado di penetrazione nella società gigantesco, per cui è la prima volta che mi sono trovato, anche se io parlavo di Rebibbia da sempre, con un quartiere che all’improvviso era diventato consapevole di essere stato raccontato e sono stati tutti molto carini ed entusiasti".

Cosa preferisce tra il linguaggio del fumetto e quello dell’animazione?

"Nei fumetti sei più libero, non devi rendere conto a nessuno, hai i tuoi tempi, dicendo esattamente quello che vuoi dire senza mediazioni. Il cartone da un lato è più fico, hai molto più pubblico, è molto più immediato per lo spettatore. Dall’altra parte, però, è un lavoro di mesi, per fare una cosa ci vuole almeno un anno, ci lavorano tantissime persone, devi mediare con i tempi di tutti, non lo fai da solo. Su quello che hai in testa ci metteranno comunque le mani delle persone, per cui è anche un aspetto bello, la sorpresa di non sapere l’effetto che farà alla fine, però hai meno controllo".

Riguardo al tema del controllo, nella seconda serie su Netflix farà ancora le voci di tutti i personaggi?

"Sarà gestita in maniera diversa, in parte simile e in parte no, ma questo non posso spiegarlo nello specifico".

Cosa vorrebbe cambiare dell’Italia di oggi?

"Il mestiere del titolista e quello che fa i virgolettati".

 

 

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