
"Lou Reed e io, insieme con l’intelligenza artificiale"
Trent’anni fa in World without end, un brano dell’album Bright red, Laurie Anderson raccontava che quando è morto suo padre "è stato come se fosse bruciata un’intera biblioteca". L’addio al marito Lou Reed, invece, ha mandato in fumo innanzitutto i ricordi "perché se hai condiviso la vita con qualcuno che non c’è più rimani l’unico testimone di te stesso". Ma per mantenere vivo lo spirito del compagno, Laurie rivela che s’è rivolta all’intelligenza artificiale. "Un’università australiana con cui ho collaborato ha creato un motore di testo progettato per scrivere in tre stili: Laurie Anderson, Lou Reed e una combinazione AndersonReed" spiega. "Basta solo fornirgli qualche informazione, delle parole o una foto, per metterla in condizione di produrre, quasi istantaneamente, un intero testo virtuale. Il programma va perfezionato, perché al momento una creazione su tre è una totale assurdità, cose da scimmie con la macchina per scrivere, mentre un altro terzo è semplicemente noioso. Quel che rimane, però, è sorprendente, una specie di strana magia".
Lei, la donna dai mille volti come la chiamava Lou, ha un tono affabile, ma distante, sospeso tra un pensiero e l’altro da pause insondabili. D’altronde Laurie Anderson è "il cuore dell’America affettuosamente alienato da sé stesso" come l’ha definita una volta il New York Times, quindi, sai di non essere tu a intervistare lei, ma lei a studiare te. Tutto con l’allure dell’enigmatico personaggio che si porta dietro dai tempi in cui suonava il violino (quello che campionato le regalò il successo internazionale dell’81 O Superman) per i caruggi di Genova in bilico su due schettini intrappolati nel ghiaccio. Sciolti i blocchi, finito il concerto. Anzi la performance, visto che si trattava di suoni registrati. Se quel lontano Duets on Ice rimane la sua primissima esperienza europea – e stiamo parlando della metà degli anni Settanta – l’ultima è Let X=X che la musicista compagna di vita di Lou Reed il 16 novembre offrirà al pubblico del Comunale di Carpi assieme al quintetto newyorkese Sex Mob con cui in estate s’è presentata pure al Ravenna Festival.
Laurie si racconta da Manhattan, da quel vecchio studio affacciato sull’Hudson in fondo a Canal Street che a 76 anni è ancora il suo porto sicuro; fragile, minuta, vulnerabile, mossa però da una determinazione che l’ha resa un’icona dell’avanguardia capace di ballare il tango con William S. Burroughs e a collaborare con la Nasa, mettere in scena un’opera su Moby Dick e tenere un concerto per clacson al Rochester Park o uno per cani alla Sydney Opera House. Quasi inevitabile che la vita di una signora dall’animo così sbilanciato sul domani nutra una certa allergia per le ricorrenze come il decennale (Reed se ne andava il 27 ottobre 2013, a 71 anni) della scomparsa dell’amatissimo Lou, che racconta scavando un solco tra narrazione e sentimenti.
"Non ho mai visto un’espressione così piena di meraviglia come quella di Lou mentre moriva", fu la sua sensazione. "Le sue mani eseguivano la 21ª forma del Tai Chi che scorreva nell’acqua. I suoi occhi erano spalancati. Tenevo tra le braccia la persona che amavo di più al mondo e gli parlavo mentre moriva. Il suo cuore si fermò. Non avevo paura. Avevo avuto modo di camminare con lui fino alla fine del mondo. La vita – così bella, dolorosa e abbagliante – non può andare meglio di così. E la morte? Credo che lo scopo della morte sia la liberazione dell’amore". Una frase che non ha bisogno di spiegazioni. E che adesso si declina nella sperimentazione su Lou con l’Ai.
È anche vero che non tutte le porte che Laura Phillips “Laurie” Anderson s’è trovata davanti nella sua carriera di pioniera del possibile si sono poi aperte. Ma non se ne fa un cruccio. "Adoro i progetti non finiti, perché a volte le idee sono migliori della loro realizzazione" dice. "Il sogno più folle rimasto in bilico? Forse il parco tematico multimediale che con Peter Gabriel e Brian Eno avremmo dovuto realizzare negli anni Novanta a Barcellona".
A 76 anni, per lei il futuro è ancora una palla di cannone accesa e il lavoro nello studiolo di Canal Street non manca mai. "Nel 2024 presenterò in anteprima al Manchester International Festival la mia nuova opera Ark" anticipa. "L’arca a cui fa riferimento il titolo è quella biblica trasportata in questi tempi caratterizzati da apocalittici cambiamenti climatici e sovraccarico di informazioni". Il diluvio arriva per lo scoppio di iCloud con conseguente perdita della conoscenza raccolta dall’umanità e la necessità di costruirne una nuova.
E nel frattempo, il 16 novembre a Carpi, il ritorno nel nostro Paese. "Ho studiato italiano per 5 anni, ma purtroppo non lo parlo; il mio legame più forte con l’Italia rimane letterario – confessa – . Natalia Ginzburg è in assoluto una delle mie autrici preferite perché nei suoi romanzi esprime un’idea così personale e bizzarra su come funzionano le cose in famiglia che mi diverto davvero tanto. Usa un vocabolario semplice, ma i concetti, le emozioni e i personaggi dei suoi libri sono complessi e indimenticabili".